TRA STORIA E RICORDI – NOTE SU UN VIAGGIO IN POLONIA
di Riccardo D'Auro
Credo che non faccia male rivedere un po’ di storia in occasione di un viaggio in un Paese straniero e, magari, lasciare una traccia di ciò che si è visto.
Nei primi anni del 1800, durante i quali le armate di Napoleone suscitavano nei patrioti degli stati oppressi aneliti di libertà, la Polonia e l’Italia erano legate da uno stretto rapporto di fratellanza. Migliaia di polacchi accorsero qui contando sul Generale per la liberazione della loro patria. Aspirazioni che svanirono nel 1815 perché il Ducato di Varsavia, da lui imposto, fu consegnato alla Russia. I legami si rafforzarono con la venuta degli esuli, dopo l’insurrezione del 1830-31, richiamati dalla creazione di Mazzini del Comitato della Giovane Europa al quale avevano aderito la Giovane Italia, la Giovane Polonia e le Associazioni consimili di altri Stati. Nel 1848 presero parte alla rivolta di Palermo contro il Borbone, nel 1849 alla Repubblica Romana e in seguito alle guerre d’Indipendenza. Gli italiani accorsero a combattere in Polonia in occasione della seconda insurrezione del 1863-64 in cui 30.000 polacchi, dei 200.000 partecipanti, persero la vita, tra i quali il famoso Garibaldino Francesco Nullo ed altri italiani.
Nella Guerra Mondiale i polacchi furono costretti a combattersi fra di loro: i Galiziani arruolati nell’esercito austro-ungarico, i Posnani in quello tedesco, i Polacchi delle regioni dell’Est (Volinia, Polésia, o Poléssia, Podòlia) in quello dello Zar. Sul fronte italiano più di 20.000 polacchi, inseriti a forza nell’esercito austro-ungarico, furono fatti prigionieri e nel 1917 ottennero di far parte del nostro esercito e si batterono con valore. La Polonia nel 1918, riavuti dagli Imperi Centrali i propri territori e dalla Russia le predette regioni dell’Est, riconquistò l’unità nazionale nominando il Generale irredentista Josef Pilsudski primo Presidente della Repubblica. Il Trattato di Versailles del 1919 costituì la città libera di Danzica ed il famoso “corridoio polacco”, incuneato tra la Prussia tedesca e quella orientale, per poterla raggiungere. Oppressi per più di un secolo i polacchi aspiravano ad una rivincita e occuparono vasti territori della Russia diventata nel frattempo URSS. Nel 1920 i russi li riconquistarono, ma il 13 agosto, giunti alle porte di Varsavia e contrattaccati da Sud dalle forze di Pilsudski e da Nord da quelle del Generale Wladyslaw Sikorski, furono costretti alla ritirata con notevoli perdite. La vittoria fu definita “il miracolo della Vistola” e in ottobre l’armistizio sancì la restituzione alla Polonia delle su citate regioni dell’Est.
Erano trascorsi appena 20 anni e il 23 agosto 1939 Germania e Russia firmarono un accordo segreto per la spartizione della Polonia, la quarta subita in ordine di tempo dalla fine del 1700. I tedeschi chiesero subito la restituzione del “corridoio”, il casus belli della seconda guerra mondiale, e al suo rifiuto il 1° settembre invasero la Polonia mentre Francia ed Inghilterra dichiararono guerra alla Germania. In una settimana raggiunsero Varsavia e il 17 i russi si lanciarono alla riconquista dei territori orientali. Gli invasori gareggiarono in una feroce politica di sterminio.
I tedeschi ordinarono alle famiglie ebree di Varsavia, oltre 240.000 persone, di trovare sistemazione nel ghetto con il risultato che in ciascuna stanza occupata abitassero 14 perone. Il ghetto, recintato da un muro costruito dagli ebrei con il materiale di risulta delle loro case fatte saltare in aria, fu abbandonato a sé stesso e in breve tempo vi morirono migliaia di persone di tifo e di fame. In luglio del ’42 iniziò “la riduzione” con le deportazioni nei campi di sterminio. Ma nel 1943 la forza della disperazione spinse gli abitanti a formare un’Organizzazione ebraica di combattimento che impaurì i tedeschi, i quali ebbero presto il sopravvento facendo uso, con una ferocia inaudita, dei lanciafiamme e della dinamite. Il 1° agosto del 1944 la città insorse con l’intervento di 40.000 combattenti dell’Armia Krajowa, la Resistenza polacca, forte di 380.000 uomini. Fu una lotta strenua che durò due mesi con l’orribile bilancio di 150.000 vittime civili e di 15.000 guerriglieri, contro 10.000 morti e 9.000 feriti tedeschi. L’Armata Rossa assistette allo scempio al di là della Vistola impassibile alla richiesta di aiuto del governo polacco di Londra, che chiedeva almeno il permesso di atterraggio degli aerei, provenienti anche dall’Italia, con viveri ed armi. Stalin rispose che la rivolta era stata un’avventura temeraria, un atteggiamento peraltro preannunciato nelle sedi competenti da chi conosceva i sovietici.
I russi, dal canto loro, procedettero subito alla cattura di 200.000 soldati e di 22.000 ufficiali, i quali, onde privare l’eventuale ricostituzione dell’esercito polacco dei quadri di comando, vennero orrendamente massacrati e gettati in grandi fosse comuni a Katyn, mentre trasferirono in Russia 1.500.000 civili. A Parigi venne costituito un governo polacco in esilio con a capo il Generale Sikorski e organizzato il 1° Corpo d’Armata di 82.000 uomini, che nel maggio del 1940 combattè a fianco dei francesi. Dopo la sconfitta fu evacuato in Inghilterra dove 6000 aviatori polacchi già collaboravano con la RAF alla difesa di Londra.
L’attacco tedesco alla Russia del 22 giugno 1941, fece registrare un mutamento dei rapporti russo-polacchi. Di notevole importanza fu la costituzione del 2° Corpo d’Armata Polacco con a capo il Generale Wladyslaw Anders che era sfuggito al massacro di Katyn per il suo curriculum di servizio eccezionale. Durante la prigionia aveva rifiutato varie proposte di collaborazione per cui era stato perfino torturato nella famigerata prigione della Lubianka. Ma, per amor di patria, cambiò parere in seguito all’accordo siglato a Londra il 30 luglio 1941 tra il Gen Sikorski, premier e capo delle forze armate polacche, e l’Ambasciatore sovietico, relativo alla formazione di un esercito polacco in Russia composto dai deportati. Questi godettero subito di un’amnistia e il 4 agosto il Generale Anders venne condotto, con ogni riguardo, dal Capo del NKVD Beria, che gli propose il progetto di costituzione di un corpo d’armata formato da due divisioni ed un reggimento di riserva e la sua nomina a comandante. Accettò avendo considerato le sofferenze dei suoi connazionali deportati, che morivano a migliaia e che avrebbero potuto trarne dei benefici dalla nuova situazione.
Alcuni giorni dopo la liberazione della Persia, avvenuta il 25 novembre del 1941 per opera delle truppe britanniche e sovietiche, a Teheran si incontrarono Anders e Sikorski. I due Generali chiarirono molti punti oscuri e cercarono di avere un colloquio con Stalin, che li convocò per il 2 dicembre. Gli chiesero che il Corpo dovesse essere composto almeno da 150.000 uomini e con un Servizio Ausiliario Femminile, i quali per poter raggiungere l’efficienza, avrebbero dovuto essere trasferiti in un paese dalle condizioni atmosferiche più accettabili, seguiti da tutti i deportati. Un modo sicuro per salvarli dal freddo e dalla fame. Stalin aderì a tutte le richieste e nella primavera del 1942 ebbe inizio l’esodo verso la Persia.
Nacque così il 2° Corpo d’Armata Polacco che fu trasferito in Egitto nell’ottobre del 1943, organizzato su due divisioni di fanteria - 3^ Carpatica e 5^ Kresowa - ed una brigata corazzata. Facevano parte della seconda divisione le riserve, composte dalla 2^ brigata di fanteria e il battaglione Lancieri di Carpazia. In totale 54.000 uomini destinati al fronte italiano che dovevano essere inquadrati nell’VIII Armata britannica. Gli sbarchi furono effettuati nei porti di Taranto, Brindisi e Napoli, tra la metà di dicembre del 1943 ed il 15 gennaio 1944. Il Gen Anders atterrò a Napoli il 6 febbraio e proseguì per il Molise, sede del comando del Corpo, quando alcuni reparti della Divisione Carpatica avevano già avuto i primi contatti con il nemico nel territorio del medio-alto Sangro compreso nella linea Gustav .
I polacchi a febbraio del 1944 sostituirono gli inglesi subentrati, a loro volta, ai canadesi, che a fine novembre avevano liberato i comuni della sponda destra, da Borrello ad Alfedena; avvicendamenti, questi, descritti nel mio libro “IX Novembre 1943 – La Distruzione di Borrello”. Scendevano con gli sci da Pescopennataro e nei due mesi circa di sosta presidiarono il territorio con il pattugliamento e sottoponendo il nemico, da Capracotta, a violenti cannoneggiamenti..
Una mattina presto ci accorgemmo che la nostra casa, allora isolata, era stata circondata da soldati in assetto di guerra. Con le dovute precauzioni, fu accertato che erano i polacchi. Salirono da noi, si scaldarono al gran fuoco e presero il te, offrendone ai grandi e a noi ragazzi del cioccolato. Nel frattempo il comandante, facendosi capire in un italiano stentato, spiegò che erano stati allarmati dal ritorno dei tedeschi in nottata. Accortosi della presenza di noi giovani studenti ci apostrofò con qualche parola di francese e, con somma nostra meraviglia, perfino di latino. Un giorno la perlustrazione del tratto di sponda del fiume di fronte a Quadri fu fatale al capo-pattuglia e al giovane accompagnatore, Gino Luciano, che rimase seriamente ferito dalle schegge della mina. Il 12 aprile giunsero trafelati appena dopo il bombardamento aereo cercando di addebitare ai tedeschi la cruenta azione. Sostennero una parte sofferta, ma vennero smentiti dal ritrovamento dell’elica di una bomba su cui erano incisi in inglese i dati di fabbricazione.
Qualche giorno dopo il Corpo d’Armata polacco fu trasferito a Cassino dove si rese protagonista della conquista del Monastero, conclusasi il 18 maggio, che aprì alla V Armata americana la via di Roma. Il 7 giugno il Generale Alexander, comandante supremo del fronte italiano, ordinò il suo trasferimento nel Settore Adriatico a capo del quale, con sede a Pescara, designò il Gen Anders. Ai suoi ordini passarono anche alcuni reparti britannici ed il CIL (Corpo Italiano di Liberazione) comandato dal Generale Umberto Utili, che era formato da 13 battaglioni di fanteria, 2 reggimenti di artiglieria da campagna, una batteria pesante e un battaglione zappatori, per un totale di 18.000 unità. Forze alle quali fu aggiunta anche la Banda Maiella, divenuta nel frattempo Brigata, forte di 1.500 uomini il cui comando tattico era stato affidato ad un Ufficiale superiore polacco. In tutto 65.000 uomini. A causa del sopraggiungere dell’inverno il Comandante dell’VIII Armata sospese le operazioni offensive sulla linea Gotica, predisposta dal Maresciallo Kesselring tra il Tirreno e l’Adriatico attraverso l’Appennino tosco-emiliano.
Nel frattempo affluirono nel 2° Corpo ex prigionieri polacchi liberati dalle Forze alleate dirette alla conquista della Germania, per cui l’unità raggiunse, con la trasformazione della brigata corazzata in divisione, la forza di 110.000 uomini. Il Gen Anders fu nominato dal proprio governo in esilio Comandante in capo delle Forze armate polacche e a sua volta nominò Comandante del Corpo il suo Capo di stato Maggiore, Generale Szysko-Bousz.
Agli inizi di aprile le forze alleate sferrarono l’attacco decisivo alla Wehrmacht: il 21 aprile i polacchi e i patrioti della Brigata Maiella entrarono a Bologna, il 29 si concluse la guerra in Italia. Seguì, pochi giorni dopo, la resa della Germania.
Intanto la Russia, che aveva perseguito una propria politica polacca, ruppe i rapporti col governo in esilio a Londra e ne costituì un altro con elementi comunisti polacchi che venne riconosciuto, per il mantenimento degli equilibri internazionali, dagli Alleati e dallo stesso governo. Il risentimento del Gen Anders e dei suoi soldati fu forte, che accusarono gli Alleati di aver tradito, a Yalta e a Potsdam, le aspettative e le aspirazioni di tutti. Ciò aveva provocato, all’entrata a Bologna, la rabbia dei combattenti contro i partigiani, che sventolavano le bandiere rosse con falce e martello e lanciavano l’infamante accusa di essere fascisti e mancò poco al ricorso alle armi.
Durante l’anno in cui restò in Italia, il Corpo, suddiviso in vari reparti, fu inviato in alcune regioni dove continuarono gli scontri con numerosi morti e feriti da ambo le parti. La situazione si fece incandescente all’atto della smobilitazione che, secondo il governo inglese, doveva essere seguita dal ritorno in Polonia degli ex combattenti. Anders ed altri ufficiali rifiutarono perché era inimmaginabile il ritorno in una Polonia senza garanzia di libertà e senza Vilno e Leopoli. A partire dai primi di luglio del 1946 la maggioranza dei soldati raggiunse l’Inghilterra, altri diversi Paesi. Il 3 settembre ci fu lo scioglimento ufficiale del glorioso 2° Corpo d’armata Polacco.
In Italia lasciarono più di 6.000 morti, di cui 1.500 dispersi. Soltanto 3.998 di essi, non tutti identificati, furono sepolti nei cimiteri di Casamassima (BA), Montecassino, Loreto e Bologna (q. di Savena). Il Generale Anders dispose di essere sepolto tra i suoi uomini in quello di Montecassino.
Nel 1946 rividi i soldati polacchi a Pescara e assistetti anche al passaggio di qualche autocolonna diretta verso il Nord. Dai loro volti non appariva la gioia dei reduci che facevano ritorno a casa, traspariva solo l’orgoglio di aver compiuto una missione vittoriosa contro un nemico che credeva fermamente di poter soggiogare gli altri popoli. Negli anni seguenti chi aveva conosciuto i polacchi si appassionò alle loro vicende politiche ed esultò alla caduta di quel muro che rappresentava la sottomissione di molti stati europei.
Ho partecipato con grande interesse alla visita dei luoghi più rappresentativi della Polonia, organizzata dall’Associazione Culturale “La Fonte”, secondo l’itinerario che segue.
Cracovia, città storica, con il castello e la cattedrale annessa simboli dell’antico potere, un numero straordinario di chiese in cui aleggia il ricordo di Papa Vojtyla, la grande piazza del mercato, l’antica università - il “Collegium Maius”-, le sinagoghe ed il ghetto, i monumenti e i palazzi dall’architettura classica e liberty e gli scorci dei luoghi tradizionali. Un contesto in cui scorre anche la vita nostalgica del passato. Ammirevoli l’ordine, la cura delle strade e dei parchi, il procedere disciplinato del traffico nei centri urbani e fuori dove abbondano la segnaletica e gli impianti semaforici, ad esempio sull’importante arteria, di cui metà autostrada, che raggiunge Varsavia.
La capitale, una metropoli con concezioni urbanistiche varie. Da quella predominante della ricostruzione post bellica, a quella che risente dei canoni del regime - vedi l’imponente costruzione sita ad uno degli ingressi principali della città, copia conforme dei ministeri che caratterizzano il centro del potere di Mosca - ai grattacieli e i mega-edifici polifunzionali oggi in voga. Un edificio di grande interesse è il Museo della memoria dello sterminio costruito sull’area del ghetto, un luogo di riflessione e di raccoglimento particolari. Sono ammirevoli il centro storico con delle chiese dai particolari architettonici pregevoli e qualche luogo di rappresentanza, quali la zona dei ministeri e delle ambasciate straniere. Purtroppo il tutto condizionato al breve tempo a disposizione.
La miniera di salgemma di Wieliczka ha un valore storico straordinario, che esalta innanzitutto il lavoro umano di sfruttamento iniziato circa nove secoli fa. E’ un monumento nazionale iscritto nella prima Lista del Patrimonio Mondiale Culturale e Naturale dell’UNESCO. Si tratta di un complesso di cave sotterranee, la cui parte visitabile, localizzata tra i 64 e i 327 metri di profondità, sviluppa circa 2 chilometri mentre quello totale, a quote variabili, è di 300 chilometri. Lungo il percorso si incontrano caverne di varie ampiezze in cui è stata ricostruita l’opera dei minatori eseguita con mezzi di lavoro che nel corso dei tempi sono andati man mano perfezionandosi; ambienti in cui sono posti blocchi di sale dai quali artisti, e gli stessi minatori, hanno ricavato delle statue di notevole pregio. Il pezzo forte è la Cappella di Santa Kinga, un tempio imponente arricchito di statue ed arredi sacri meravigliosi.
Ultima meta la visita ai luoghi del dolore dove è stato consumato il più grande sterminio di vite umane di tutti i tempi.
Auschwitz. Una ex caserma dell’esercito polacco consistente in un insieme di fabbricati di due piani. Già all’ingresso il visitatore viene assalito dalla commozione considerando che vi passarono 1.100.000 vittime, di cui 200.000 bambini, fatti assassinare dalla pazzia omicida di Hitler. Al seminterrato le prigioni con delle celle anguste in cui i malcapitati non riuscivano nemmeno a stare in piedi. Nei piani superiori alcuni vani-vetrine in cui sono ammucchiati gli oggetti personali delle vittime: dalle valige agli indumenti, alle scarpe, agli occhiali, ai giocattoli dei bimbi e ai capelli. Sì, i capelli rasati ai cadaveri ai quali venivano estirpate anche le capsule dei denti, di cui gli aguzzini spesso non ne rendevano conto. Un bottino che le SS vendevano alle industrie per le opportune trasformazioni. Quindi, un eccidio che ripagava gli stessi esecutori. Terrificante la vista dei forni e dei locali preparatori alla soluzione finale.
Birkenau, il campo più grande mai esistito, dell’estensione di 170 ettari sito a 3 chilometri di distanza, con stazione ferroviaria all’interno, la cui costruzione, iniziata nell’ottobre del 1941 con l’impiego di 10.000 prigionieri russi, era stata progettata come campo di prigionia. Suddiviso in due settori, maschile e femminile, è costituito da grandi baracche di legno con due file contrapposte di letti a castello con a centro un cunicolo di mattoni per convogliare il calore prodotto da una stufa posta all’ingresso. Alcune baracche erano destinate ai servizi igienici disposti a scacchiera in un blocco centrale su due file contrapposte. Nel campo il pudore e la dignità umana dei deportati non venivano affatto considerati, basti pensare che la maggior parte di essi, all’arrivo, andavano a morte nudi illusi di fare la doccia. All’inizio del 1943 erano in funzione quattro forni crematori, due per ciascun campo, che potevano uccidere 150.000 persone al mese. I medici avevano un ruolo fondamentale sulle vittime, dal giudizio espresso a colpo d’occhio, all’arrivo, circa la capacità lavorativa dei soggetti, alle sperimentazioni scientifiche sui grandi e sui bambini anche per soddisfare la loro sadica curiosità. I russi liberarono i campi il 27 gennaio 1945 trovando ancora in vita circa 8.000 persone ridotte a scheletri e le prove dell’immane sterminio: vi era stato consumato il più orribile crimine contro l’umanità!
Alla fine della visita, credo che molti si pongano questa domanda: “come è possibile che gli Alleati, in special modo i russi, non si fossero resi conto di cosa avvenisse in un così grande complesso dove arrivavano in continuazione treni carichi di persone?”. Le fotografie scattate dalla ricognizione aerea evidenziano con chiarezza ogni particolare della “fabbrica della morte”. Lo spionaggio, poi, nulla aveva riferito?
Mi è sembrato doveroso ricordare i sacrifici fatti dai polacchi per la liberazione dell’Italia, della nostra vallata in particolare. Erano soldati che, a differenza degli altri commilitoni dell’esercito alleato, combattevano con maggiore ardore una guerra avente come obiettivo anche la riconquista della loro patria oppressa da un nemico comune. Erano certi di tornare alle loro case, ma, come abbiamo visto, le cose andarono diversamente e per tornare liberi trascorsero alcuni decenni di indicibili sofferenze morali.
La maggioranza degli italiani giustificarono la reazione di questi combattenti contro coloro che parteggiavano con i loro nemici naturali e accusavano i polacchi di fascismo, cosa impossibile essendo questo regime legato al nazismo. Gli italiani espressero gratitudine a quei valorosi combattenti e, in seguito, piena solidarietà al popolo polacco.
Pescara, Maggio 2014
|