UNA PRECISAZIONE DOVUTA SUL BOMBARDAMENTO DEL 12 APRILE 1944
di Riccardo D'Auro


Nel mio libro “IX NOVEMBRE 1943, LA DISTRUZIONE DI BORRELLO” ho scritto che il bombardamento aereo del 12 aprile 1944, effettuato da due cacciabombardieri alleati a doppia fusoliera, avvenne per un errore di valutazione. Infatti, fu attaccato un paese ricadente nel territorio liberato, anche se lasciato senza presidio. Gli incursori filarono via dopo aver eseguito un solo passaggio a bassa quota, con il fuoco concentrato su Piazza Risorgimento che a quell’ora, di una splendida mattinata di sole, era animata da numerose persone intente ai lavori preparatori della ricostruzione. Che si fosse trattato di un errore si capì dalla immediata interruzione dell’azione avendo i piloti constatato, fortunatamente, una situazione diversa da quella che era l’obiettivo della missione. Con tutta probabilità la ricognizione aerea aveva scambiato l’assembramento, in corso in quel luogo, per un reparto tedesco, così come aveva fatto qualche tempo prima intorno a “Casa Grande”, senza che si fosse però fatto uso delle armi.
Ma nel 1993 un amico, al quale avevo dato in lettura il manoscritto del libro, mi fece rilevare che il bombardamento era stato causato dalla vendetta di uno dei piloti degli aerei! Ascoltai, allibito, la versione dei fatti.
Alcuni giovani rifugiati alla macchia, durante il periodo iniziale dell’occupazione tedesca, si imbatterono in un gruppo di prigionieri alleati che raccontarono di essere stati catturati e subito rilasciati dal nemico, per la denunzia di un pastorello. Uno di loro, pilota di aerei, minacciò di far pagare a Borrello il tradimento subito, non appena fosse rientrato nei ranghi del proprio reparto.
Dissi al mio interlocutore di non aver mai sentito una storia del genere che, per le tragiche conseguenze prodotte, sarebbe subito dovuta diventare di dominio pubblico. Secondo me appariva inverosimile, del tutto fantasiosa, perché è inconcepibile che la Feldgendarmerie, in zona di operazione, avesse potuto liberare dei prigionieri catturati per una delazione che, peraltro, rientrava negli obblighi prescritti ai cittadini dei territori occupati. Allo stesso modo si espressero tutti quelli che subito interpellai a riguardo.
Nella scorsa estate, però, si è saputo di uno che conosceva bene come erano andate le cose. Si presentava finalmente l’occasione di fare chiarezza, soprattutto per umanità, su un fatto così importante. Ma questi, cedendo alle mie insistenze, non è andato oltre la testuale dichiarazione di aver soltanto visto i tedeschi spingere a calci il presunto delatore fuori dal comando di polizia. Era un ragazzo e non conosceva il motivo di quella punizione, ma in seguito, aveva sentito delle voci che attribuivano al medesimo la colpa del bombardamento.
Dunque, un rapporto tra i tedeschi ed il giovane ci fu realmente. Ma, il maltrattamento che si ebbe, conferma il presupposto che non vi fu la cattura dei prigionieri, anzi, fa ritenere che la punizione sia scaturita proprio dalla delusione di non averli potuti riagguantare.
Una ricostruzione plausibile dei fatti potrebbe essere la seguente. La presunta spia avrebbe accompagnato i tedeschi al nascondiglio dei prigionieri e non avendoli trovati, dopo un severo interrogatorio presso il comando, le avrebbero propinato quella dura lezione.
A questo punto si possono azzardare due ipotesi: che i prigionieri, da buoni soldati, diffidando del giovane, si fossero dati alla fuga alla vista dei tedeschi; che il delatore, ravvedutosi tardivamente dell’infamia commessa, avesse guidato i tedeschi in un altro posto. Avrebbe così compiuto un meraviglioso atto di coraggio che cancellerebbe ogni sospetto di colpevolezza.

Una precisazione, questa, che giungerà opportuna ricorrendo fra poco il sessantesimo anniversario di un’incursione che appesantì il bilancio delle vittime e delle devastazioni del nostro Paese!

Pescara, febbraio 2004


Riccardo D'Auro


Per commentare fai prima il login. Se non sei ancora registrato puoi farlo adesso cliccando qui.



borrellosite è ideato, realizzato e diretto da Mario Di Nunzio