BORRELLO E L’UNITA’ D’ITALIA
di Riccardo D'Auro

Il pregevole scritto di Angelo Ferrari apparso su Borrellosite - I Repubblicani di Borrello nell’Ottocento - mi ha sollecitato a scrivere, ricorrendo il 150° anno dell’Unità d’Italia, su come venne vissuto il Risorgimento nel nostro paese.
La parte più colta della popolazione plaudì i Francesi, portatori di libertà, di uguaglianza e dell’Illuminismo, che riconfermarono al “governo cittadino” quelli che ne avevano fatto parte. Il popolo, però, anche per la brevità del nuovo governo straniero nella regione, non riscontrò alcun cambiamento delle sue disagevoli condizioni; esso approfittò, però, della situazione per appropriarsi, con una sommossa, delle terre demaniali e baronali. Con la Restaurazione, a pagare fu soltanto la predetta classe colta, duramente colpita con la deportazione ed il massacro ad Altino di cinque suoi rappresentanti: il dottor fisico Alessandro D’Auro, tre religiosi ed un giovane studente. Gli altri appartenenti allo stesso ceto, per mettersi al sicuro dai massisti, che in ogni luogo davano la caccia ai collaborazionisti, dovettero far ricorso alle dichiarazioni notarili in cui dei testimoni attestavano il loro buon operato.
Con il ritorno dei Francesi furono introdotte delle profonde innovazioni amministrative e giuridiche, una giustizia imparziale e fu emanato perfino un ordinamento scolastico nuovo. La riforma più grande, iniziata da Giuseppe Bonaparte e portata a termine sotto la sovranità di Gioacchino Murat, fu l’abolizione della feudalità. Provvedimenti che attenuarono il malcontento generale e che restarono in gran parte in vigore al ritorno dei Borboni. L’andirivieni degli stranieri si stabilizzò per qualche decennio durante i quali crebbe il fermento degli intellettuali e le aspirazioni di libertà e le nuove idee si propagarono nelle regioni più remote.
I notabili a Borrello fecero sentire la loro presenza in occasione dei moti del ’21 e del ’48 costituendo una società segreta, sicuramente ispirata dall’azione degli illustri conterranei Silvio e Bertrando Spaventa. L’informazione sullo svolgimento di una seduta, tenutasi nella primavera del 1855 in casa del farmacista Domenico D’Auro, venne estorta alla moglie di questi in confessione dal sacerdote Don Michele Franco. I cospiratori vennero avvertiti da un messo inviato da Bomba che precedette di poco l’arrivo della polizia, appena in tempo per distruggere i documenti. Purtroppo il povero padrone di casa, colpito da infarto, ci rimise la vita. Di questo fatto e di Alessandro, suo figlio primogenito, che ritroveremo più oltre in questo contesto, ho scritto nel mio libro sull’emigrazione.
I pericoli e le intimidazioni non fiaccarono l’ardente volontà dei cospiratori di scrollarsi di dosso il dominio retrivo ed assolutistico della Monarchia borbonica. Ed eccoci al 1° settembre 1860, giorno di festa a Borrello, mentre Garibaldi stava per concludere la sua marcia trionfale a Napoli, scoppiò il tragico tumulto. Alcuni esagitati, ebbri di vino e di odio, si scagliarono contro le Guardie nazionali locali e i cittadini che ostentavano la coccarda tricolore, lanciandosi, poi, alla caccia del giovane avvocato forestiero Giuseppe Calvitti venuto, a loro parere, a reclutare uomini per l’esercito garibaldino. Eugenio Maranzano nel suo libro ha illustrato dettagliatamente i fatti che portarono all’orrenda uccisione del malcapitato. Scrive che uno dei testimoni nel processo che seguì in un tempo assai ristretto, Gabriele D’Auro fratello del su citato farmacista, dichiarò di trovarsi lontano, per cui sentì solo il chiasso, ma così si espresse: “da lungo tempo correva voce a Borrello di una sommossa popolare per abbattere lo Stato doppoiché nel contadinismo prevaleva il falso principio che le novelle istituzioni fossero dannose per i poveri”.
Seguirono già nel mese di ottobre i plebisciti che quasi ovunque sancirono l’adesione delle regioni dell’ex Regno delle due Sicilie al Piemonte e alla Monarchia Sabauda con la quasi totalità dei suffragi. All’Unità completa dell’Italia mancava soltanto Roma e Borrello volle ricordare lo straordinario avvenimento cambiando i nomi della sua toponomastica: le due piazze dedicate al Risorgimento e al Plebiscito e una strada al Sette Settembre giorno in cui Garibaldi entrò a Napoli.

Dunque, i galantuomini di Borrello fecero sentire la loro presenza nella lunga azione che portò al Risorgimento e all’unità d’Italia. Alcuni di essi fanno parte del gruppo di cittadini ricordato da Angelo Ferrari, che contribuirono nel 1864 al sostegno del giornale mazziniano “Il Dovere”.
Mi pare doveroso completare le informazioni che Ferrari ci dà di queste persone. Per restare nel tema dell’Unità, inizio con un Garibaldino, che ritengo sia stato l’unico a Borrello, il giovane Alessandro Michelangelo D’Auro, farmacista nonché Segretario del Comune dal 1861 al 1864. Egli fu un aggregato, uno delle migliaia di uomini che ingrossarono il contingente sbarcato a Marsala. Dal nonno Michelangelo (uno dei Decurioni firmatari nel 1810 della deliberazione adottata per l’attuazione della legge relativa all’eversione feudale) e dal padre aveva ereditato l’amor di patria e i valori morali. Attratto dal vortice dell’emigrazione raggiunse la Patagonia dove, per amore della scienza e del prossimo, si mise a studiare le cause di una grave malattia che affliggeva gli Indios. Durante un esperimento in laboratorio fu investito dallo scoppio di un apparecchio che lo uccise all’istante.
Annibale e Diomede Simonetti erano fratelli. Il Reverendo, laureato in legge, era un appassionato di agricoltura e trascorreva il suo tempo libero nel grande podere, che porta il suo nome, in contrada Vettuno. Era solito accompagnare i morti fino alla chiesa di Sant’Antonio dove, a tarda età, li licenziava con un “vai fratello che presto verrò anch’io” . Fu l’autore del necrologio, annotato nel Registro dei Morti della Parrocchia, di sua zia Donna Lucia Salvi da Castel di Sangro, moglie del dottor Andrea Carusi e madre del notaio Remigio pure appartenente al gruppo dei sostenitori del giornale.
Da detto atto si evince che era consorella della pia Congregazione di Carità, amata e rispettata da tutti per le sue doti di animo; signora egregia per cultura, per ingegno e per eminenti virtù cristiane, amata e rispettata da quanti la conobbero. Si legge, infine, che nell’orazione funebre era stato sottolineato “quanto bene Ella abbia indotto nel paese in tanti anni e segnatamente nell’anno terribile delle rivolture del 1860” . La voce del popolo, contraddetta da Maranzano, vuole che la Nobildonna fosse intervenuta presso il comandante della spedizione punitiva inviata a Borrello per cercare di mitigare gli ordini che aveva ricevuto. Si racconta anche che questi avesse detto alla signora di aver visto un frate aggirarsi a lungo nella notte intorno alla chiesa. Ma quando ella lo assicurò, rispondendo alla sua richiesta, che non vi fosse un convento, egli decise di non eseguire quegli ordini così severi. Sant’Antonio aveva, quindi, salvato il paese!
I fratelli Antonio e Vincenzo Palmieri erano figli di Carmine, possidente, sindaco all’atto della rivolta e fratelli minori di Alfonso che diventerà anch’egli sindaco.
Chiudono il gruppo Innocenzo Spagnuolo e Giovanni Elisio entrambi possidenti. Il primo, autodidatta, è ricordato come autore di acrostici che declamava presso i numerosi conoscenti della zona ai quali sovente amava far visita. Il secondo apparteneva ad una famiglia che nel tempo aveva dato dei Religiosi alla nostra comunità.

Rimane da scoprire quali fossero veramente le idee politiche che ispirarono questi personaggi a sostenere un giornale repubblicano E’ risaputo che erano nazionalisti e liberali. Nel 1868 alcuni di loro figuravano tra i fondatori della Casina di Trattenimento Unione e Concordia, ricordata in uno dei miei scritti per borrellosite. Un luogo consono al loro status dove si faceva politica e cultura ed era presente sempre un giornale di riguardo; nel 1899 il settimanale Il Fanfulla della Domenica. Lo fecero perché erano repubblicani oppure per un atto d’amore e di riconoscenza al grande Uomo di pensiero, che dedicò tutta la vita a propugnare l’indipendenza e l’unità dell’Italia?

Pescara, Gennaio 2011


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