RICORDO DI CLETO BORDONI di Riccardo D'Auro
Cleto ripartì da Borrello, richiamato nel Corpo Italiano di Liberazione, nella tarda primavera del 1944 mentre vivevamo, nella terra di nessuno, gli ultimi durissimi giorni della nostra effimera libertà, e, da allora, io non l’ho più rivisto fino al Ferragosto del 2000. Ci eravamo sentiti a maggio del 1997, dopo più di mezzo secolo, in occasione della pubblicazione del mio libro “IX NOVEMBRE 1943”. La sua lettera di ringraziamento è stata anche un saggio di ricordi di vita borrellana, che aveva “registrato” indelebilmente nella sua memoria fin dai primi soggiorni nella casa del nonno materno. I ricordi hanno costituito quasi sempre il tema principale di quelle successive che diventavano delle “circolari” quando vi allegava qualcuno dei tanti altri che aveva scritto nel corso della vita. Dai quadretti delicati della beata fanciullezza alle pagine toccanti delle tragiche giornate di quel mese di novembre e del durissimo periodo successivo della sopravvivenza. Scritti che rivelano il sentimento profondo della sua “borrellanità”, molti dei quali sono, poi, confluiti nella meravigliosa raccolta che tutti hanno potuto ammirare in seguito alla “sua giornata” del 19 agosto 2000. Non erano, però, i soli, perché a Eugenio (Maranzano n.d.r.), Nino (D’Auro n.d.r.), Franco (Tiberio n.d.r.), Raffaello (D’Auro n.d.r.) e a me, che ci onoravamo di essere suoi amici, ne ha inviati degli altri.
Cleto, però, durante la sua lunga assenza da Borrello non è rimasto nell’oblio, perché in ogni occasione si è parlato di lui con parenti ed amici. Con Antonino Di Giorgio, in particolare, il quale, quando gli sottoposi per un giudizio il libro, a lui che era uno scrittore affermato, mi disse che avrei dovuto inviarlo anche a Cleto, per essere stato protagonista di quegli eventi e soprattutto per la sua passione per Borrello.
Pur essendo più piccolo, ero coetaneo e compagno di giochi di Pino (fratello di Cleto n.d.r.), spesso mi intromettevo nella sua cerchia di amici attratto dalla simpatia e dall’ammirazione per questo parente che tornava da lontano. Allora l’attenzione per i “forestieri” era grande, rispettosa, le distanze dai loro luoghi di provenienza apparivano enormi ed essi rappresentavano i tratti di unione tra mondi diversi. Perciò erano ascoltati, con grande interesse, su qualsiasi argomento si trattasse. Cleto raccontò le sue esperienze di guerra durante una breve licenza trascorsa a Borrello dopo il ritorno dalla Libia, dove si era conclusa la nostra infelice avventura africana. Parlò, lo ricordo chiaramente, della fame sofferta mentre i magazzini militari, quando vennero distrutti al momento della ritirata, erano colmi di ogni ben di Dio. Se ne potettero saziare soltanto in quel momento arraffando di tutto e passando sulle forme di parmigiano per non rimanere invischiati nel fiume di olio che fuoriusciva dai fusti. Raggiunse la nuova destinazione da dove fece ancora ritorno, da fuggiasco, dopo l’8 settembre, sperando di evitare la caccia dei tedeschi e rientrare subito a casa al seguito degli Alleati. Venne, invece, come tanti altri, a cacciarsi nei guai perché il nostro Sangro divenne un punto di forza nella strategia difensiva tedesca.
Condivise con noi i disagi e le vicissitudini del periodo della macchia e della distruzione, nonché rabbia e dolore, e credo che durante quel periodo si sviluppò più intensamente il suo amore per Borrello. Un amore che lo ha tenuto lontano per il timore che con il mutare dei tempi non avesse più ritrovati il suo mondo antico ed i tanti amici che lo abitavano. E credo che abbia alleviato la sofferenza della lontananza scrivendo. “I Ricordi di Cleto” hanno rappresentato un ponte, come lui dice, che ha varcato quando quel timore si è dissolto e la definitiva certezza l’ha avuta ritrovando l’amicizia e l’affetto di allora. Era felice di quel passo tardivo e avrebbe voluto tornare ancora, era in procinto di farlo due anni dopo, ma il suo cuore aveva cominciato a fibrillare.
Ma Cleto non ha scritto solo ricordi, si è cimentato brillantemente anche con le favole. E un bel giorno dei primi mesi di questo suo ultimo anno di vita, all’improvviso, ci ha deliziati con un meraviglioso libro di favole: “Le avventure di Pippo”, un asinello ed altri animali di una fattoria padana protagonisti di molte avventure che lui aveva raccontato ai suoi bambini. Ringraziandolo ho celiato sulla diversità di quegli animali, docili e giudiziosi, da quelli di Borrello più cocciuti e dispettosi, caratteristiche riflettenti, forse, l’aspro ambiente in cui vivevano. “Capestrina” e “Brunetta”, i nomi più comuni delle nostre capre, che Cleto conosceva bene, ci facevano sudare le proverbiali sette camice per ricondurle a casa dopo che, a sera, tornavano dal pascolo. Noi ragazzi assolvevamo già a malincuore a quell’incombenza per aver dovuto lasciare la nostra compagnia, si giustificava, pertanto, il maltrattamento, che, poi, peggiorava il rapporto con l’animale.
Ora che Cleto se ne è andato apprezziamo maggiormente le sue qualità di scrittore completo e lo ringraziamo per aver dedicato tante belle pagine al nostro paese. Sono certo che altre avrebbero fatto seguito se questo nostro ritrovato rapporto non si fosse interrotto così subito. Lo avremmo voluto con noi al Dibattito storico-culturale, tenutosi il 10 agosto, per la celebrazione del 60° anniversario della distruzione e ricostruzione dei Comuni della sponda destra del Sangro. La sua sarebbe stata una partecipazione di rilievo. Sono rimasti tra di noi, purtroppo, anche da chiarire alcuni avvenimenti importanti, quello, per esempio, della venuta di D’Annunzio a Borrello.
Abbiamo perso, oltre che un grande amico, un ottimo interlocutore. Ne serberemo la memoria, come pure le giovani generazioni, attraverso i suoi scritti carichi di affetto per la sua Terra di origine.
Addio Cleto e grazie.
Pescara, 16 dicembre 2003
Riccardo D'Auro
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