Pizzoferrato, un Paese in Guerra* un volume su cui ritornare di Riccardo D'Auro
Ormai è passato qualche anno dall’uscita di un interessante volume, alla cui stesura avevano collaborato storici e studiosi come Costantino Felice, Marisa Colletti e Umberto Dante, che riguarda il periodo dell’occupazione tedesca di Pizzoferrato descritta nel memoriale del professore Valentino D’Aloisio. Su quel contributo, oggi, vale forse ancora la pena ritornare per alcune ulteriori riflessioni.
Oltre a tale importante documento di tipo memorialistico, il libro ne comprende altri due, non meno interessanti, sulla partecipazione ai fatti di guerra, ma negli opposti schieramenti, scritti, rispettivamente, dall’alpino tedesco Eduard Kastner e dal caporale britannico Wolfe Wayne e raccolti dal parroco don Vincenzo Di Pietro. Il tutto è incentrato su una lunga intervista rilasciata dalla signora Giuseppina Malferrari vedova del D’Aloisio, protagonista anche lei, insieme ai figli, di molti avvenimenti che accaddero dai primi di ottobre del 1943 ai primi di giugno del 1944. La fuga alla macchia, la distruzione del paese, il tragico assalto del 2-3 febbraio eseguito da inglesi e patrioti della Brigata Maiella. Un’azione che, comunque, determinò la ritirata dei tedeschi a Gamberale, la presa di possesso e la difesa dell’importante caposaldo da parte della Banda di patrioti locali organizzata dallo stesso D’Aloisio, maggiore di artiglieria in congedo.
Si tratta di un’opera pregevole che illustra il sacrificio di uomini coraggiosi, che illusi dall’imminente occupazione da parte degli Alleati si ritrovarono a lottare da soli correndo il rischio di essere accerchiati e sterminati dal nemico. Alcuni dei fatti descritti, però, lasciano alquanto perplessi e stupiti quelli che, come il sottoscritto, vissero nel territorio gran parte degli avvenimenti descritti. Si legge, infatti, che il maggiore D’Aloisio organizzò gli uomini alla macchia in gruppi di azione per compiere sabotaggi, inviò piani strategici agli alleati tramite i prigionieri che varcavano la linea del fronte e fece costruire rifugi. Tutto ciò non fu tanto diverso dall’operato delle popolazioni dei paesi del versante destro, che per primi vennero messi a ferro e a fuoco ed abbandonati, alla fine di novembre, nella terra di nessuno, anche dagli stessi liberatori. Desta stupore, però, l’affermazione che la resistenza a Pizzoferrato nacque già nel mese di ottobre.
Dopo l’8 settembre l’idea di una resistenza armata venne accarezzata da molti giovani, che imbracciarono le armi, in verità dei vecchi arnesi, che nascosero non appena giunsero i primi reparti della Wehrmacht. Con gli altri uomini validi si sottrassero alla cattura e si rifugiarono alla macchia, attuando con la popolazione, la disobbedienza civile alle ordinanze che vietavano di dare aiuto ai prigionieri, obbligavano a consegnare le bestie da soma e quant’altro. Disobbedienza che raggiunse il massimo a Borrello il giorno della distruzione, durante il quale la popolazione, abbandonando le case, non eseguì l’ordine contestuale di incamminarsi verso Sulmona dove era stato organizzato il concentramento degli sfollati.
Si continuò così, durante l’apocalisse, forzando i blocchi, a rischio della vita, per rientrare in paese alla ricerca di qualcosa per poter sopravvivere. Si dette ulteriore aiuto ai prigionieri, che ancora in forte numero passavano il Sangro. Crescevano, col passare dei giorni, la tensione e l’odio dei senzatetto per quei barbari; per mezzo degli uomini che guidavano gli sfollati oltre le linee inviavano informazioni e solleciti agli Alleati per facilitare la loro lenta avanzata. Ma, oltre a queste azioni di resistenza passiva non c’era altro da fare perché il nemico, specie all’inizio, era numeroso ed agguerrito come non mai. Si trattava, infatti, di reparti della famosa 1^ Divisione Paracadutisti integrati dalle SS, contro i quali una qualsiasi forma di resistenza armata sarebbe stata soffocata nel sangue.
L’occupazione tedesca nel versante sinistro del Sangro, invece, durò per altri sei mesi, da dicembre a giugno. Gli abitanti delle frazioni basse di Pizzoferrato, che non sfollarono, si trovarono in piena operazione bellica, per cui pagarono un tributo pesante di vittime. Il capoluogo, invece, si ritrovò isolato dal 3 febbraio 1944, giorno della sua presa di posizione da parte della neonata Banda Partigiana del Maggiore D’Aloisio. I particolari dell’evento, in vero contraddittori nel tempo, sono stati chiariti definitivamente da Raffaele Ciccarelli, una delle quattro guide locali che condussero il reparto misto del Maggiore Wigram all’assalto del “Pizzo”.
Il Ciccarelli, uno dei patrioti della prima ora, ha affermato che la Banda venne costituita nella mattinata del predetto 3 febbraio con un atto spontaneo di molti cittadini radunatisi al suono delle campane a festa che annunciavano la ritirata dei tedeschi. Raccolte le armi dei caduti, addivennero a tale decisione quando il comandante della colonna di paracadutisti del ricostituito Esercito italiano, che aveva tardato l’appuntamento con gli sfortunati assalitori, comunicò che la loro missione era conclusa. Delusi, rimasero soli a difendere il paese.
Quindi, nessuna azione di guerra era stata compiuta prima di quel momento. Indubbiamente D’Aloisio ebbe il merito di coagulare intorno alla sua persona giovani ed anziani che erano pervasi da un grande amore per il loro paese. Furono dei valorosi temerari che sfidarono a viso aperto i tedeschi, respingendo i loro tentativi di riprendere la posizione fatti, in verità, solo con l’intervento di qualche pattuglia.
Dopo la smobilitazione della Banda vi fu una lunga disputa sul numero degli appartenenti e sulle numerose proposte di medaglie al valore, anche a favore dei fiancheggiatori. Questo e la rivendicazione di alcune imprese, costituirono punti di frizione con il Comandante Ettore Troilo, che stava sostenendo duri scontri con le Istituzioni per il riconoscimento del sacrosanto diritto dei suoi uomini che avevano combattuto tutta la guerra di Liberazione, dall’Abruzzo fino ai confini dello Stato. In quel periodo di lotte politiche accese i più forti la spuntavano con ogni tipo di richieste, spesso abusando a danno di coloro i quali, in silenzio, avevano versato il sangue per la Patria.
Nessuno, però, può contestare l’impresa valorosa dei Patrioti della “Banda Pizzoferrato”, nè il sacrificio dei numerosi caduti civili, tutti benemeriti del riconoscimento della Patria, che conferì al Comune, ormai entrato nella storia, la medaglia di bronzo al Valor militare.-
*Pubblicato su ABRUZZO CONTEMPORANEO – Rivista di storia e scienze sociali dell’Istituto Abruzzese per la Storia della Resistenza e dell’Italia Contemporanea – N° 32-33/2008.
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