Il risparmio
un racconto di
Cesare Palmieri
(tratto dalla raccolta "Racconti Sangritani")


Midij, Midij avèm sparagnièt l quazz p' l surg!

(Emidio, Emidio, abbiamo risparmiato il c…. Per i topi!)
Micchilina l'aveva gridato dalla finestra, guardando giù la salma del marito nella bara ancora scoperta. Sei robusti amici avevano portato giù Emidio, avvolto nel sudario, passando dalla stretta e ripida scala dal piano di sopra e l'avevano sistemato nella cassa appoggiata su due sedie rovesciate. Ora tutti erano in attesa che sua moglie gli rendesse il pubblico commiato.
I paesani avevano dovuto aspettare a lungo, prima che Micchilina si decidesse a parlare.
A quei tempi ed in quella circostanza era d'uso che, prima di inchiodare il coperchio, il parente più stretto rivolgesse al morto l'ultimo saluto, ricordandone le doti morali, citando episodi significativi di vita vissuta insieme e mostrando la propria disperazione per la grande perdita.
Micchilina era restata muta a lungo, nella cornice della piccola finestra, col fazzolettone nero sul capo: sembrava proprio la Madonna Addolorata. Si metteva le mani nei capelli, come a volerseli strappare poi piegava la testa a destra e a sinistra, per dire no ad un evento così assurdo e ingiusto: assurdo perché il suo Emidio aveva solo ventitré anni; ingiusto perché uno non se ne può andare così, senza aver fatto prima il proprio dovere! Poi pronunziò la frase sibillina. Poche parole avare di vocali, buttate lì come ossa scarnificate. E fu tutto.
La frase aveva provocato un mormorio fra i presenti, nonché un grosso interrogativo: “ma che avranno risparmiato poi questi due, se non avevano nemmeno gli occhi per piangere? A cosa si riferiva Micchilina?”
- Qui sotto gatta ci cova ! - diceva uno che si dava le arie di saperla lunga.
- Ma che gatta e gatta: se c'erano due ragazzi onesti e poveri in canna, questi erano proprio Midij e Micchilina! -
Tutti ricordavano che, per farsi il saccone della sproija, i due promessi avevano ricevuto in dono, dai vicini, alcuni sacchi di iuta, con cui avevano cucito il grande sacco e poi riempito con le foglie secche del granturco. Per ben cinque serate avevano dovuto smarroccare il granturco in case diverse e, per ricompensa, avevano potuto portar via la sproija scelta, la più sottile e meno dura!
Il saccone era l'unico pezzo di arredo della camera da letto (con uso cucina). Emidio era stato un bracciante agricolo, zappatore senza terra, lavoratore a giornata. In un paese di montagna la stagione è corta ed il tempo permanentemente incostante, per cui l'anno lavorativo si riduce a due tre mesi. Quando si lavora, almeno si mangia tre volte al giorno, ma, negli altri mesi il menù è a base di fojie e pizza gialla.
Delle condizioni di Micchilina meglio non parlare: una ragazza orfana di genitori poveri in canna. Aveva un vantaggio: non avendo avuto mai nulla da scialare, si era abituata a quella vita grama e non ne faceva un dramma.
Ed allora, di quale risparmio parlava Micchilina?
Ognuno cercava di dire la sua, ma nessuno parlava con cognizione di causa.
Uno solo taceva, standosene un po' in disparte, vicino al sacrestano che portava la croce e l'acquasantiera: era il prete. E sapeva tutto.
Ricordava quella sera di sei mesi addietro, allorquando si erano presentati in canonica i due giovani, con aria furtiva e la testa china, come se dovessero confessare un grave peccato.
Non si decidevano a parlare ed il prete dovette incoraggiarli più volte e farlo. Finalmente Midij ruppe gli indugi: avevano pensato, lui e Micchilina, di sposarsi, sempre che Sua Signoria non avesse avuto nulla in contrario.
Al prete, che conosceva la “Vita dei Santi” e di Sant' Emidio in particolare, come il Santo dei terremotati, scappò di dire, ad alta voce, ciò che, nelle sue intenzioni, doveva restare come mero pensiero: “Ah, bene, mettiamo insieme Sant’ Midij e casa vecchia!” Poi si pentì per quella imprudenza, si ricompose sulla sedia, si prese la testa fra le mani, nell'atteggiamento di meditazione; infine, tra sospiri e tentennamenti del capo, che allarmarono non poco i due ragazzi, pronunziò il verdetto.
- Impossibile! Come pensate di mettere su famiglia nelle condizioni disastrate in cui versate? Secondo il Diritto Canonico il matrimonio ha come fine la procreazione: voi siete in grado di mantenere un figlio? No! Pensate di non farlo? Allora il matrimonio si trasformerebbe da sacramento in peccato, andrebbe contro la legge di Dio e della natura! -
Micchilina sbottò in un pianto dirotto e Midij sbiancò, visibilmente allarmato.
Il prete si rese conto del loro dramma, ne venne quasi a compassione, infine…
- A meno che…
- A meno che? - fu una voce sola, a due toni.
- A meno che non facciate solenne promessa di vivere in castità, fino a che non sarete in condizioni tali da permettervi la responsabilità di un figlio! In parole povere dovete vivere come fratello e sorella, senza toccarvi. O così o niente!
I due poveretti rimasero basiti. “Se ci levi quello, cosa rimane del matrimonio?” Micchilina riprese a piangere e Midij a sbiancare. “Come si fa se ci vogliamo così bene? Non è una prova troppo grande?”
Ci fu un altro lungo intervallo, occhiate smarrite fra i due ragazzi ed infine la capitolazione.
- Sia fatta la volontà di Dio - disse Micchilina, un po' troppo precipitosa per la verità, non avendo valutato appieno l'onerosità dell'impegno appena preso. La sua praticità di donna le aveva suggerito di accettare il male minore. Per nulla al mondo avrebbe rinunziato a sposare il suo Midij, anche a costo di sottostare a così dura condizione “Una cosa alla volta, poi si vedrà” pensò Micchilina.
Il calvario iniziò subito, la sera delle nozze e solo allora i due giovani si resero conto dell'assurdità della promessa, fatta così avventatamente e così pesante da onorare.
Gli sfioramenti, ancorché subito dichiarati involontari per salvarsi l'anima dal demonio, non facevano che aggravare una situazione già di per sé insostenibile.
Micchilina, saggiamente, girò le spalle al marito e si rannicchiò in posizione fetale, ma non poté trattenersi da un pianto silenzioso. Midij si rivoltò più volte sul saccone della sproija producendo dei suoni secchi, simili al batter di becco delle cicogne. Infine si irrigidì come un baccalà e rimase in quella posizione sino all'alba, in una situazione di fissità, palesemente semi-comatosa.
Le notti successive furono ancora peggiori, tanto che il povero Emidio cominciò a temere l'arrivo della sera.
Anche la primavera, con la sua esplosione di gioia e di vita congiurava contro di lui. La campagna era uno spettacolo di frenetica attività alla vita e il casto sposo cominciò ad avere allucinazioni di ogni tipo: si sentiva la testa pesante e camminava per i campi come un pugile suonato.
Qualche volta gli sembrava di levitare, in compagnia di angeli e sorvolare con essi tutta la campagna circostante.
Non stava bene Emidio. E Micchilina cominciò a notare in lui un comportamento strano: pareva a volte svagato, altre incupito, non parlava quasi più e mangiava svogliatamente. Lei faceva di tutto per non provocarlo: prima di spogliarsi si metteva addosso un camicione da notte, lungo fino a terra, poi si sfilava da sotto gli indumenti intimi, uno ad uno, senza mostrare alcunché della propria persona. Non sapeva, la tapina, che l'immaginazione supera di gran lunga la realtà. Sempre!
Emidio se ne stava supino e lei aveva la sensazione di dormire, tutte le notti, sotto una tenda canadese.
Ieri mattina, svegliandosi, l'aveva ritrovato così, freddo stecchito. Il cuore non aveva retto per la tensione.
Dunque, per il prete l'arcano non esisteva, la frase di Micchilina non era un modo di dire, un'allusione ad una perdita economica, una metafora: era la nuda, tragica verità. Andava interpretata in senso letterale. Lui l'aveva sempre saputo, ma si guardò bene dal dare spiegazioni.
Si accorse che la gente aspettava impaziente che facesse segno di mettersi in marcia. Indugiò ancora un po', infine fece un cenno di assenso ai quattro uomini che attendevano di caricarsi il feretro sulle spalle ed il corteo si mosse lentamente verso la salita del murrutt.

Officiante: requiem aeternam dona ei Domine et lux perpetua luceat ei: requiescat in pace, amen.
Popolo: requiamaterna dona eisdommine e luce perpetua luciattei requie e scattimbace, ammènd.


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