Il posto delle fragole
(In ricordo di Osvaldo)
di Cesare Palmieri
(tratto dalla raccolta "Racconti Sangritani")


Osvaldo è stato l’amico della mia adolescenza; non della mia infanzia, perché era nato nel ’24, dunque più grande di me di otto anni. Non era stato solo questo il motivo della nostra iniziale estraneità: quando entrai alle elementari lui ne era già uscito da tre anni; inoltre la sua casa si trovava, prima, nel paese vecchio e, dopo il terremoto, la sua famiglia si era trasferita nelle case popolari: ora si trovava alle casette nuove.
Per una grande metropoli come la nostra, questo fatto portava noi ragazzi, nati nella Carenna, a considerare quelli della piazza vecchia e delle case popolari come abitanti della” periferia”: troppo lontani per averci rapporti!
Nonostante quelle due circostanze avverse alla nostra frequentazione, un fatto importante fece incrociare le nostre vite: la capra. Per suo tramite, le nostre due famiglie erano diventate soci in affari, con la stipula della soccida.
A Borrello non c’era la Centrale del latte, né tantomeno questo alimento lo si trovava in negozio; di conseguenza, per avere il latte, le opzioni erano due: comprarlo dai pastori o possedere una bestia da mungere.
Mio padre, cui il medico aveva parlato della pericolosità del latte vaccino (a quei tempi girava la tubercolosi) acquistò una capra e l’affidò alle cure della famiglia di Osvaldo. Col sistema della soccida, un socio metteva il capitale (la capra), l’altro ne aveva la cura: latte ed eventuale capretto si dividevano in due parti uguali. In virtù di quel contratto conobbi Osvaldo.
Ogni mattina dovevo recarmi a casa sua, col tragnitiello(1) in mano a ritirare la mia parte di latte. Simpatizzammo a prima vista! Godere della considerazione di un ragazzo molto più grande di me, quasi un giovane, mi faceva sentire importante!
Anche a lui dovevo essere riuscito simpatico, perché mi dette subito confidenza ed, in seguito, si rivelò per me, oltreché un amico, una miniera inesauribile di esperienze.
La famiglia di Osvaldo versava in una dignitosa povertà (e lo affermo con grande rispetto e spirito di solidarietà). Osvaldo era povero perché suo padre aveva tentato la fortuna in America latina ma, nonostante l’impegno, non l’aveva trovata.
Era tornato più povero di prima e con la salute compromessa. Nemmeno la moglie Teresina godeva di molta salute e, già da piccolo, Osvaldo dovette assumersi la responsabilità di tutta la famiglia (i genitori e le due sorelline Luisetta ed Edda ). Faceva qualsiasi lavoro gli capitasse sottomano: operaio a giornata nei campi, manovale, piccoli servizi.
Da quando eravamo diventati soci di capra, la sua incombenza principale fu quella di portarla al pascolo, tutti i giorni.
Divenne, così, conoscitore di tutta la campagna circostante, dei posti dove poteva trovare funghi, verdure selvatiche, tuberi, frutta, legna secca da ardere.
Al suo ritorno, al tramonto, insieme alla capra, portava con se un tascapane sempre pieno di ogni tipo di commestibile e, sulla spalla, ora un tronchetto di albero secco, ora un fascio di ceppe per alimentare il camino.
Le lunghe giornate trascorse in campagna lo avevano reso un esperto della natura. Al suo acuto spirito di osservazione non sfuggiva nessun nido di uccello, tana di volpe o di tasso. Pescava trote nel rio Verde con l’aiuto delle sole mani, o infilzava i gamberi con una forchetta da cucina. Dopo ogni pioggia, andava alla ricerca di lumache (e ne riportava a casa sempre in abbondanza).
Quando mi portava con lui, m’insegnava a riconoscere gli uccelli dal loro volo; un giorno mi mostrò un nido di calandrelle e m’insegnò il modo per trovarne altri, da solo.
Non aveva segreti per me, tranne due: la zona dove trovava le coppe (lactarius deliciosus) ed il posto delle fragole.
Sul primo, si scherniva, accampando il timore che, se ci fossi andato da solo, avrei potuto perdermi nel bosco; sul secondo fu perentorio: - Non te lo dirò mai! Quelle fragole sono per mamma!-
Non insistetti oltre, ma prima della fine di ottobre mi aveva già portato nel bosco e fatto raccogliere una grande quantità di coppe.
- Non dirlo a nessuno, se no poi ci vengono tutti! -
A primavera mi portò nella stalla ad assistere al parto della capra: ne rimasi impressionato. Nel semibuio presi una cantonata: per i quattro anni successivi al fatto, avrei giurato che i figli nascessero dal culo. (sic!)
Dopo che il capretto era stato interamente leccato dalla madre, glie lo avvicinò alla mammella (vuòs) per la prima poppata: infine lo mise sotto un cestone capovolto. - Così non si mette a saltare, non consuma energie e la carne rimane tenera- - mi disse, come se fosse stata la cosa più naturale di questo mondo.
- Domani torna col tragnitiello ché ti faccio assaggiare la clostra (colostro): vedrai che squisitezza!-
Osvaldo non era solo questo; aveva altre due passioni: la lettura ed il teatro. Era un divoratore di libri gialli e di appendice, quelli di Carolina Invernizio, e me ne raccontava le trame complicate di cui facevo fatica a seguire il filo. Forse avrebbe letto di meglio, ma erano gli unici testi che riusciva ad avere in prestito dai vicini di casa, i Di Nunzio.
Per il teatro era l’animatore indiscusso: organizzatore ed attore.
Con lui recitai ne “Lo spettro bianco.” Naturalmente la parte dello spettro la faceva lui, un ruolo da cattivo, in cu il malvagio recitava camuffato sotto un lenzuolo ed un cappuccio bianco, con due buchi per vedere, senza essere riconosciuto.
Io sostenevo il ruolo di un ragazzino, nipote del vecchio perseguitato dallo Spettro. Quando non ero in scena dovevo fare i lavori dietro le quinte: il rumorista, il buttafuori e l’aiutante di scena.
Durante la scena madre, nella quale il vecchio era sul punto di smascherare l’identità vera dello Spettro, strappandogli il cappuccio, quegli doveva premere il falso interruttore della luce dipinto sullo stipite della porta, nell’intendo di fare buio e scappare dalla finestra. Io avrei dovuto premere l’interruttore vero, che si trovava dietro le quinte, in perfetta sincronia; ma ritardai a farlo, dando al vecchio il tempo di sfilargli veramente il cappuccio e mostrare a tutti la faccia di Osvaldo, prima che potesse scappare.
Il vecchio non tenne conto del cambiamento avvenuto e seguì imperterrito nella sua parte.
- Maledizione - disse – proprio quando ero sul punto di smascherarlo, il furfante me l’ha impedito, spegnando la luce! Ora il mistero rimane, forse rimarrà tale per sempre! -
Una voce si levò dal pubblico:
- Ma non hai visto che è Osvaldo? -
La risata fragorosa del pubblico ci seppellì. Ormai l’arcano era stato palesato. Restammo tutti ammutoliti e la recita avrebbe rischiato di finire lì, se il pubblico non avesse capito il dramma che stavamo vivendo e non ci avesse incoraggiati a proseguire, con un caloroso applauso.
Osvaldo recitò in altri lavori teatrali, ma i miei impegni mi impedirono di parteciparvi. Gli episodi che potrei raccontare sarebbero molti, ma non voglio tediare oltre.
Mi si perdoni l’ultimo.
Una mattina salii in casa di Osvaldo e, già dal corridoio, avevo sentito le donne che piangevano. Entrai in cucina e trovai il padre di Osvaldo, seduto sulla sedia con la testa reclinata: era appena morto. Stava pian piano scivolando a terra e feci in tempo a prenderlo da dietro le spalle e sostenerlo. Rimasi così. stando dietro lo schienale con la sua testa appoggiata al mio petto. Osvaldo era già uscito a pascolare e fu mandato qualcuno a cercarlo. Arrivò dopo una mezz’ora, guardò suo padre in silenzio, poi mi diede il cambio e cominciò a dare le disposizioni più urgenti. Non ci dicemmo una parola; ma mi guardò con gratitudine: gli ero stato vicino in un momento così drammatico e doloroso.
Un giorno, dopo che aveva elaborato il suo lutto, mi chiamò e mi chiese se avessi avuto un po’di tempo per accompagnarlo.
C’incamminammo verso il bosco del Montalto.
Dopo un lungo giro attraverso i rovi, giungemmo nei pressi di una piccola radura. Osvaldo me la indicò col braccio alzato.
Era il posto delle fragole.



(1) Un piccolo secchiello di latta (una vecchia buatta di pomodoro), a cui Pietro Fantini, stagnino del paese vecchio, aveva attaccato un manico.

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