Il parto
un racconto di
Cesare Palmieri
(tratto dalla raccolta "Racconti Sangritani")


La levatrice uscì finalmente dalla camera da letto ed entrò in cucina, seguita dal medico condotto. Aveva tra le mani un fagottino: un pezzo di stoffa bianca (fasciastrillo) avvoltolato alla bell’è meglio che lasciava supporre contenesse una piccola cosa.
Carminuccio la guardò ansioso, ma la levatrice aveva una faccia che non lasciava presagire niente di buono.
- E’ nato morto - disse - proprio non ce l’ha fatta a venire al mondo. Se vuoi, pensiamo noi a sistemarlo, visto che non è neanche stato battezzato: intanto ci studiamo un po’ sopra-.
- Come volete - rispose Carminuccio, con la faccia e l’animo di chi ha appena appreso che gli è morto il figlio, prima ancora che avesse avuta la possibilità di diventare padre. Il dolore era così grande che tutto il resto non aveva alcuna importanza: facessero pure come meglio credevano.
I due, medico e levatrice, si scambiarono una rapida occhiata d’intesa e si affrettarono a lasciare la casa, scendendo per la ripida scalinata esterna.
In cucina restarono Carminuccio e sua madre. Per un tempo che sembrò interminabile non proferirono parola.
Avevano desiderato, con tutte le forze, di avere rispettivamente un figlio ed un nipote; gioito all’annuncio della gravidanza; sperato (e lungamente atteso) che si verificasse quell’evento ed ora si ritrovavano come straniti e si guardavano in faccia, pieni di stupore ed incredulità.
Da quando era iniziato il travaglio, Carminuccio era stato indaffarato a far bollire l’acqua, ignorando a cosa sarebbe servita. Sua madre, che aveva già tirato il collo alla vecchia gallina, l’aveva messa a bollire in pentola, con un po’ di cipolla, un pomodorino privato dei semi ed un gambo di sedano: doveva preparare il brodo per la puerpera.
Nella camera, Concettina, la mancata madre, piangeva per la disperazione e la vergogna.
Tutto era cominciato quattro anni prima, quando era giunta a Concettina la prima “ambasceria”: si voleva saggiare il terreno per una successiva richiesta formale da parte di Carminuccio.
La candidata era stata scelta dalla futura suocera, non tanto per ragioni di dote (che si supponeva discreta, ma non cospicua), quanto, e soprattutto, per la sua costituzione sana, per quei fianchi larghi e ben disegnati, che davano garanzia di una sicura capacità a figliare.
Carminuccio, il suo unico figlio, era già abbastanza maturo e lei voleva a tutti i costi assicurare una discendenza alla sua famiglia. La ragazza sarebbe stata una garanzia per conseguire quella finalità.
Le nozze successive avevano rappresentato la prima tappa per la realizzazione del suo sogno e, sin dal mese dopo, la vecchia iniziò a controllare tutte le scadenze lunari della nuora.
Prima in modo discreto poi, man mano che i mesi si susseguivano senza novità di sorta, con manifestazioni di disappunto palese, fatto di borbottii, monologhi allusivi. Infine giunsero i riferimenti diretti all’infertilità della nuora, rea di aver scambiato il matrimonio per un colpevole sollazzo e non come impegno a prolificare. La situazione si faceva ogni giorno più delicata, fino a sfociare in scenate rancorose ed accuse di perversione.
Nemmeno Carminuccio veniva risparmiato dalle critiche di sua madre ed il poveretto, che aveva avuto gli orecchioni a vent’anni, si dava un gran da fare, pestando il mortaio con grande impegno, come se ciò potesse ovviare alla sua cronica oligospermia e rendere più vivi quei rari gameti, anemici e privi di flagello.
La pressione sulla poveretta non proveniva soltanto dall’ambito domestico, ma col trascorrere del tempo, iniziò ad arrivare anche dall’esterno. Parenti ed amici, prima, poi il vicinato, infine la comunità tutta che trovavano disdicevole quel comportamento egoistico. Infine tutti cominciarono a dubitare sull’effettiva fertilità della sposa.
Inizialmente le rivolgevano domande del tipo “ Ma quando vi decidete”? Poi, rassicurati sulle loro buone intenzioni, si premuravano a dispensare consigli sul tipo di comportamento da tenere; erbe a decotti da trangugiare; maghe da consultare; malocchi e fatture da togliere; voti alla Madonna. Infine subentrò un atteggiamento rassegnato, ma non certamente amichevole.
La pressione si fece insopportabile quando il regime, nell’intento di aumentare la popolazione, già stremata dalla prima guerra mondiale e dalla ripresa dell’emigrazione, iniziò la campagna “ Un figlio per la Patria” ed istituì un premio per le donne con la prole più numerosa. La casistica delle accuse della suocera si arricchì di un nuovo elemento: il comportamento disfattista.
A causa di quelle indebite intromissioni, la vita della poveretta diventò un inferno, finché la sua psiche, messa a così dura prova da quelle pressioni, non decise di porre in essere i suoi meccanismi di auto-difesa.
Concettina somatizzò quella pressante richiesta e si comportò di conseguenza: “volle” ingravidarsi.
Per la prima volta, nei tre anni dacché era sposata, saltò il primo appuntamento mestruale e la suocera mutò immediatamente atteggiamento nei suoi confronti: si fece attenta, premurosa, affettuosa, servizievole. Le attenzioni erano tutte rivolte a lei, che divenne il centro della piccola famiglia. Fu fatta oggetto di coccole in maniera esagerata, quasi stucchevole.
Verso i quattro mesi le fu “chiesto” se sentiva scalciare il bambino e, di conseguenza, Concettina “percepì” dei movimenti addominali, anche se non erano esattamente pugni e calci, ma degli spostamenti di pressione da un lato all’altro della pancia, come nuvolaglie che si spostano nel cielo imbronciato. Non sapeva spiegare bene quei movimenti, ma tutto fu attribuito alla sua inesperienza di primipara.
- La pancia non è molto grande per contenere un maschio - le disse la suocera intorno al settimo mese - non avrai in mente di darci una femmina!?- incalzò subito dopo.
Da quel giorno la gestante cominciò a gonfiarsi a vista d’occhio e, in prossimità dell’evento, nessuno si sarebbe stupito di vederla librarsi nell’aria: era diventata come una mongolfiera.
Concettina sentiva, ora, un forte sconvolgimento al suo interno e quelle nuvolaglie divennero presto dei veri e propri tifoni che la scuotevano e le procuravano indolenzimenti diffusi in tutto il corpo. Quando quei dolori divennero insopportabili, fu prontamente chiamata la levatrice.
- Ci siamo!- le aveva detto la suocera, con aria ammiccante, appena quella aveva messo piede in casa.
La levatrice non gradì: quella diagnosi era di sua competenza.
-Tu prepara il brodo - disse rivolta alla vecchia- e tu fai bollire l’acqua- disse a Carminuccio; lasciando intendere chiaramente che, durante il suo lavoro, non gradiva gente ansiosa tra i piedi.
Entrò in camera e si richiuse la porta dietro la spalle.
Dall’inizio della gestazione era la prima volta che si vedevano per motivi professionali, perché la famiglia non poteva permettersi il lusso di visite ginecologiche: si faceva il minimo necessario.
Trovò Concettina seduta al bordo del letto, che si teneva le mani sul ventre e si contorceva dal dolore. Le mise due cuscini dietro la schiena e l’invitò a rilassarsi.
- Come faccio a rilassarmi se dentro questa pancia si sono scatenate tutte le forze della natura!-
Non aveva ancora terminata la frase che quelle forze si aprirono un varco. Il meraviglioso mandolino di Concettina, che le fantasie porcelle degli uomini ritenevano capace di produrre solo note celestiali, al massimo l'introduzione ad una serenata a Marechiaro, si trasformò in trombone e produsse un rombo di tuono, forte e prolungato, che fece tremare i vetri della finestra.
-Non ti preoccupare!- disse la levatrice - dopo il vento viene l’acqua e tu hai bisogno di rompere le acque! Perciò fai pure senza vergogna, perché ti devi prima sgonfiare dell’aria che hai dentro, solo dopo potrà nascere il bambino!
Concettina arrossì visibilmente, ma accolse volentieri quella raccomandazione: proprio non ce la faceva più.
Si produsse, questa volta, in una scarica multipla, che fece allibire la pur esperta levatrice.
Si sa che il peto fa soltanto rumore, e quella performance, seppure notevole per intensità e durata, non produsse effetti sgradevoli, se non alle orecchie: questione di pura estetica; ma quando le flatulenze diventarono silenziosi soffioni, l’aria si fece irrespirabile e di densità così spessa che si sarebbe potuta tagliarla col coltello.
Concettina, passato il primo momento di vergogna, si era scatenata in una produzione cacofonica di suoni simili ai fuochi d’artificio, con ricche varianti riguardo ad altezze, intensità ed odori nauseabondi.
Quella esibizione si protrasse per un’ora abbondante.
La levatrice non ne poteva più: “ora questa donna sta proprio esagerando“ pensò “mai vista una cosa simile in tutta la mia carriera!” Si alzò con la faccia schifata ed i capelli scarmigliati;
poi si diresse verso la finestra e la spalancò.
Il fatto, che sino a quel momento era rimasto circoscritto fra le mura domestiche, dopo l’apertura della finestra travalicò l’ambito strettamente famigliare ed invase il vicinato, che rizzò le orecchie e fece le prime congetture.
Pian piano, come per osmosi, un sussurro ovattato si trasmise di bocca in bocca, s’insinuò nei vicoli, nelle case, giunse al lavatoio pubblico, poi ai due forni e raggiunse la più lontana periferia.
La notizia era contenuta in una sola parola:
“ Spititeije “
Come in una risacca, la parola cavalcò l’onda di ritorno, rifece il percorso inverso, si arricchì di particolari meramente fantasiosi e si scontrò con la seconda notizia uscita dalla camera-parto:
“ Lu medeche “.
“Allora z’è messa chiorta la criatura!” Fu il bisbigliato commento popolare.
Se la levatrice non fosse stata mezzo sorda, dall’auscultazione del ventre della partoriente avrebbe dedotto che nessun battito proveniva da quelle parti. Se non fosse rimasta tramortita dalle flatulenze, sentite e respirate, quindi impedita di vedere attraverso quel nebbione, si sarebbe accorta che la mongolfiera si era sgonfiata e la pancia di Concettina era tornata piatta com’era da nubile.
Le due circostanze, ostative ad un corretta diagnosi, l’avevano spinta a chiedere l’aiuto del medico condotto: per lei il caso era anomalo e non voleva prendersi ulteriori responsabilità.
Il medico, appena messo il naso nel vano della porta, si ritrasse di colpo: aveva avuto la sensazione di essere capitato nella Cloaca Massima. Si fece ragguagliare dalla levatrice, rimanendo sul limitare della porta, con la speranza che, prendendo un po’ di tempo, l’aria all’interno si sarebbe rarefatta.
Infine si decise ad entrare.
Guardò.
Auscultò.
S’incespugliò.
Entrò.
Tastò.
Uscì.
Indugiò con uno sguardo d’assieme sulla paziente, ed infine concluse, dentro di sé, che quella donna era la fine del mondo.
Si rivolse alla levatrice ed emise la sua diagnosi (questa volta ufficiale): - cara collega - disse magnanimo - le acque non si sono rotte perché non si sono mai formate; il cuore non batte perché la creatura non è stata mai concepita. Ci troviamo di fronte ad una gravidanza isterica, aggravata, ultimamente, da meteorismo acuto. Questa donna ha subìto troppe pressioni ed ha risposto in maniera conseguente. Non si può forzare la natura perché prima o poi essa si vendica: in questo caso vi ha aggiunto anche lo sberleffo.
-Avrei dovuto accorgermene da sola - disse contrita la levatrice - perché l’avevo studiata quant’anni fa, ma nella mia lunga pratica non mi era mai accaduta una cosa simile e me l’ero dimenticata -.
- Non te la prendere, una svista può capitare a tutti!-
Concettina, che aveva sentito, anche se non compreso il significato del linguaggio scientifico dei due, capì l’essenziale: la sua gravidanza era stata uno scherzo, una grande bolla d’aria.
Tanto rumore per nulla!
Con sgomento s’immaginò le maldicenze, gli ammiccamenti e le risate ironiche che ne sarebbero seguite e che avrebbero fatta di lei lo zimbello del paese. Pensò, con terrore, alle conseguenze che avrebbe dovuto subire: la violenza del marito, a seguito della sua delusione e la vergogna nei confronti della suocera.
Tra i singhiozzi manifestò questi stati d’animo al medico ed alla levatrice: avrebbe desiderato morire, piuttosto che affrontare la prova difficile che l’attendeva!
I due si guardarono, prima perplessi poi preoccupati.
“ Quale colpa aveva quella povera donna? Non era lei la prima vittima di ciò che era accaduto?” pensarono.
La levatrice s’illuminò.
- E se dicessimo che il bambino è nato morto?-
- Lo sai bene che diremmo il falso -
- Chi danneggeremmo?-
- Nessuno, ma….-
- Abbiamo il dovere di proteggere questa donna. È una vittima di questa società retrograda e maschilista! -
- Per favore, non mettiamola in politica! -
-Allora mettiamola sul pratico! Siamo stati chiamati per far nascere una creatura: pensi che la famiglia sarà disposta a pagarci l’onorario per una prestazione mai avvenuta? -
Tombola!
Il medico pensò che quella levatrice non era affatto una sciocca.
“ Ci mancherebbe anche questa! Già in questo paese chiamano il medico ogni morte di Papa! Sarebbe crudele, dopo tutto quello che ho dovuto respirare!”
- Fai tu….io non parlo - disse infine
- Grazie, che Iddio Vi benedica! - S’intromise Concettina -.
La levatrice prese due “fasciatrilli”: ne annodò uno un paio di volte, a forma di pupazzo; poi l’avvolse nell’altro, a mò di fagotto.
-Andiamo dottore! - ed entrarono in cucina.


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