LA FORTE ESPANSIONE URBANISTICA DI BORRELLO
di Riccardo D'Auro
All‘inizio degli Anni ’30 nella zona extraurbana del paese, attraversata dalla strada provinciale per Rosello, esistevano soltanto quattro fabbricati, due nel tratto a monte denominato via del Littorio e gli altri due, a valle, su un vasto appezzamento di terreno confinante con via Roma. I primi due, di abitazione, appartenevano rispettivamente ai coniugi Domenico D’Ambrosio e Del Pesco Tomasa (detta Damasina), mentre l’altro a Davide Alloggia. Le rimanenti due costruzioni, ad uso industriale, erano di proprietà della Società Elettrica Borrellana destinati a mulino a cilindro con soprastante cabina elettrica di distribuzione e a frantoio di inerti con la rimessa della trebbiatrice.
Negli anni suddetti la parte antica del paese venne interessata da un vasto movimento franoso consistente nell’abbassamento di alcune aree, che provocò ingenti danni al corpo stradale, il crollo di decine di case ed il lesionamento di tutte le altre. In modo particolare la salita di Piazza Plebiscito, chiamata “la Costa”, con l’edificio scolastico al piede, i vicoli dell’Orologio, del Municipio ed estendendosi nel versante verso Est. Il fenomeno si aggravò in seguito alle piogge alluvionali del marzo del 1931. La relazione del sopralluogo fatto dall’Ingegnere Capo del Genio Civile parla di “movimento cavernoso progressivo e rassetto di massi erratici fratturati”. Fu disposta la chiusura al culto della Chiesa e al traffico le strade dissestate, nonché lo sfollamento degli abitanti, ma non venne erogato alcun sussidio per gli interventi del caso. Dopo due anni, lo Stato intervenne con l’emissione del R. D. 18.5.1933 n. 685, che includeva l’abitato di Borrello tra quelli da trasferire parzialmente a cura e spese dello Stato ai sensi della legge 9. 7.1908, n. 445. Alla fine del decennio in parola il Genio Civile appaltò i lavori di sgombro di tutto il materiale di risulta delle case crollate, la costruzione di muri di sostegno e la pavimentazione stradale con selci. Per quanto riguarda la Chiesa: la riduzione dell’altezza del campanile, la demolizione della volta e la ricostruzione del tetto.
All’epoca il Catasto Geometrico del Comune di Borrello non era stato ancora realizzato, esisteva, però, una mappa dell’abitato non in scala, ma abbastanza precisa, disegnata a memoria nel 1922 a Buenos Aires dal concittadino Leonzio Vitullo, che il suddetto Ufficio riteneva idonea per la redazione dei propri atti tecnici. I documenti citati si trovano nel volume “Borrello Millenovecento Millenovecentocinquanta” pubblicato dall’Archivio di Stato di Chieti nel 2008.
Durante il ventennio che sta per concludersi nella zona citata sono stati eseguiti vari interventi di sistemazione generale, nonché valide opere monumentali e di giardinaggio; un lavoro risolutivo quello della Costa per l’impiego del cemento armato lungo tutto il suo percorso notevolmente addolcito. Ma qualche anno addietro in seguito all’esecuzione di micropali, da parte dell’Assessorato Regionale dei LL PP, per consolidare il punto estremo della Piazza, sul quale è stato realizzato un belvedere, si è ripetuto il fenomeno franoso con la fuoriuscita di una massa enorme di detriti precipitati nel vuoto. Si è avuta quindi la dimostrazione che nelle caverne sotterranee, tra varie isole rocciose, effettivamente il terreno si muove.
Nell’autunno del 1933 fu provvidenziale per i sinistrati il terremoto della Maiella, che il paese fortunatamente non lo risentì. Provvidenziale perché lo Stato dispose con urgenza la costruzione di quattro padiglioni di case antisismiche, di complessivi 25 alloggi, per il ricovero delle famiglie danneggiate dalla frana. La costruzione doveva essere eseguita nel Piano Regolatore previsto dal suddetto decreto, localizzato dal Comune ai Cerroni, tra i due tratti citati della strada provinciale, sui terreni di proprietà delle famiglie Annecchini e del Nonno di chi scrive.
Nelle more dell’approvazione degli atti di esproprio mio padre, proprietario per donazione paterna dei terreni precitati, iniziò con il suocero Domenico Spagnuolo la costruzione della nuova casa in sostituzione di quella di abitazione di via dell’Orologio danneggiata dalla frana. Vi andammo ad abitare a maggio del 1936 quasi contemporaneamente agli assegnatari delle suddette case di via del Littorio, oggi via Dante, a valle della quale era in costruzione la casa in cui venne trasferita nel 1937 la caserma dei Carabinieri. Nacque così il nuovo quartiere di Borrello!
Ma ecco che sopraggiunse una calamità ben più grave della frana: la “guerra in casa”.
La mattina del 12 Ottobre, molto presto, mio padre aveva accompagnato sul Colle della Fonte cinque Ufficiali inglesi, provenienti dal campo di concentramento di Sulmona e diretti verso Castiglione Messer Marino dove era giunto il fronte, per mostrare loro la linea elettrica ivi diretta. Erano giunti la sera tardi sotto una pioggia torrenziale nel nostro scantinato, dove si era intenti a far bollire il mosto per fortificare il vino nella botte; si asciugarono attorno al gran fuoco mangiando uva in gran quantità e, dopo gli spaghetti, vinti dal sonno, si addormentarono. Le ordinanze affisse dai tedeschi, che giunsero nella mattinata, parlavano chiaro, avevamo pertanto corso un grosso pericolo. Condivisero coi proprietari le case migliori del paese. La nostra “era stata prenotata da un maresciallo giunto con un sjdecar e mentre lui faceva, con il nonno, la visita di rito, l’autista disegnò con un gessetto su uno dei pannelli del portone il faccione del Premier inglese col famoso sigaro, ammiccando che a lui dovevamo la loro presenza. A quel Sottufficiale si deve il nome di “Casa Grande” . Ci lasciarono l’uso del primo piano eccetto lo studio in cui si insediò il Comandante della compagnia. Un Capitano, austriaco forse, che consigliò mio padre di imboscare viveri ed altro perché la guerra si sarebbe fermata a lungo da noi. Si alternarono alcune compagnie fino all’8 novembre in cui la occuparono le SS con i guastatori, che la mattina seguente iniziarono la tremenda opera distruttrice del paese. Doveva essere l’ultima a saltare in aria, ma lo fecero qualche giorno prima con due potenti mine perché si erano scontrati con una pattuglia di indiani, subendo un caduto, al Piano del Verde. La posizione isolata della casa li aveva indotti ad abbandonarla.
Rimando i lettori ai numerosi miei scritti sulla macchia, la distruzione e la ricostruzione che iniziò il 26 novembre, lo stesso giorno del rientro dall’esodo.
Debbo soltanto aggiungere che circa un anno dopo, quando il Governo emanò il primo provvedimento relativo alla riparazione dei fabbricati lievemente danneggiati, mediante l’impiego del materiale di recupero, già molti tetti a Borrello erano stati rifatti. Il bisogno della casa era fondamentale per vivere nei nostri luoghi, pertanto l’esiguo importo del contributo erogato con i provvedimenti successivi per i lavori di riparazione, venne da numerosi senzatetto impiegato per la parziale ricostruzione delle case distrutte. Infatti la legge organica della ricostruzione fu emanata nel 1960, per cui lo Stato effettuò enormi risparmi sulle provvidenze che avrebbe dovuto erogare. Inoltre i sinistrati furono gravati nel tempo anche da grosse spese per ristrutturare le case in cui venne fatto uso dei materiali di recupero, vale a dire le prime riparate con i lavori di pronto intervento. Quindi, anziché essere premiati per la sollecitudine con la quale operarono, i senzatetto subirono una forte e dolorosa penalizzazione.
Per i comuni ad alto coefficiente di distruzione lo Stato dispose la redazione dei Piani di Ricostruzione degli abitati di cui se ne assunse l’onere; quello di Borrello, affidato all’ingegnere romano Carlo Facenna, sostituì il Piano Regolatore. Nel 1946 vi furono costruiti tre fabbricati per i senzatetto di complessivi 20 alloggi, di cui 12 a schiera in via Roma e 8 in via Dante in due palazzine “tipo Borrello”, modello diffuso in altri comuni. In seguito vi fu trasferita la ricostruzione dell’asilo infantile e dell’edificio scolastico, ossia il proseguimento dei lavori sospesi nel 1943, che riguardavano la costruzione di un solo piano. Il progetto attuale ne prevedeva due perché ai danni subiti dall’edificio distrutto dalla frana, si aggiungevano quelli della scuola trasferita nel palazzo comunale gravemente danneggiato. Si trattava, dunque, di opere dipendenti da danni di guerra e pertanto da ricostruire a spese dello Stato.
Alcuni anni dopo l’area residua dell’ex Piano Regolatore venne lottizzata dal Comune con siti di 100 metri quadrati venduti ai sinistrati eccetto due che furono destinati alla caserma dei Carabinieri ed all’ufficio postale. Iniziò, pertanto, l’edificazione di massa che, come vedremo, si intensificò al punto di raddoppiare, quasi, la superficie dell’abitato.
Nel 1960, come avanti accennato, venne pubblicata la legge organica sulla ricostruzione che prevedeva la possibilità di trasferire ad altri il diritto al contributo dei danni di guerra e numerosi lavoratori, soprattutto gli emigranti stagionali negli Stati europei, pensarono di unire ai buoni guadagni conseguiti, il suddetto diritto al contributo. Il suo importo era, comunque, un buon aiuto per potersi costruire finalmente la casa. La legge fu operativa per alcuni decenni ma l’importo del contributo non fu mai adeguato alla spesa sostenuta per la ricostruzione che comportò vicissitudini e sacrifici infiniti.
Alla conclusione di questo brano dedicato alla guerra e alla ricostruzione, va detto che i sinistrati rimasero delusi dall’entità ridotta del contributo dello Stato per la ricostruzione diretta delle case, soprattutto confrontati con gli interventi a favore delle zone terremotate. Né furono gratificati con riconoscimenti di sorta, cito a proposito il disegno di legge presentato da un parlamentare molisano che non fu mai discusso. Prevedeva il conferimento di un titolo onorifico per la ricostruzione dei Comuni distrutti dalla guerra. Invece, si fregiano di medaglie alcuni appena sfiorati dagli eventi bellici e per chi visse quella immane tragedia tutto questo è come una ferita che non si rimargina.
Per una maggiore chiarezza degli eventi dannosi descritti, che dalla fine degli Anni ’20 colpirono il nostro paese e dettero origine alla sua espansione, fa testo il mio libro sul Dibattito Storico Culturale del 10 Agosto 2003 per la celebrazione del 60° Anniversario della Guerra in Abruzzo e Molise. Un ampio spazio del convegno, patrocinato dall’Istituto di Storia Italiana dal Fascismo alla Resistenza, è dedicato al Progetto di Rinascita Ideale del Centro Storico, basato sulla planimetria Vitullo, in cui figurano 214 fabbricati, la maggior parte dei quali distrutti e gli altri ricostruiti, interamente o parzialmente, oppure trasferiti in altro sito. Le aree sono tutte numerate e su un elenco a parte risultano i nominativi dei rispettivi proprietari, un lavoro elaborato in base ai ricordi personali e degli “Amici della Piazza Vecchia” . Inoltre, vi sono i prospetti delle schiere dei fabbricati di via dell’Orologio e via Marsica disegnati da Simona Spagnuolo anche autrice, con Raffaello D’Auro, di ammirevoli tavole che riproducono alcuni squarci caratteristici del paese antico cancellato dalla faccia della terra. Tutto il materiale descritto, con numerose fotografie, sono oggetto di una Mostra permanente esposta in una sala del palazzo municipale.
Sopravvenne, intanto, il boom economico che diede vita alla vasta urbanizzazione del paese che aumentò sensibilmente il perimetro dell’abitato. Vennero incluse le pendici di Monte Calvario, il Guado dei Prati e le Vicenne dove sorsero varie costruzioni. Si svolse quasi una competizione tra i proprietari, nella quale non mancò una punta di orgoglio, per il prevalere dei particolari costruttivi. Vi fu anche l’intervento dei fondi pubblici nella prima di dette località dove sorse l’Ostello della Gioventù, trasformato in seguito ad albergo e definitivamente a bed and breakfast: il “Rifugio dei Sanniti” , il tutto servito da comode strade. Va detto a proposito che la viabilità dell’area lottizzata venne dedicata soprattutto a Personaggi importanti abruzzesi ed anche locali. Eccezione fatta di via della Liberazione, ovvero la parte finale del tratto, proveniente dal “Vallone” , della mulattiera diretta a Pescopennataro e a Sant’Angelo. Il nome ricorda l’arrivo dei Canadesi, descritto avanti, che vennero a prendere cognizione della ritirata dei tedeschi avvenuta durante la notte.
Si può concludere che l’eccezionale sviluppo del tessuto urbano di Borrello si deve alla laboriosità della popolazione, che iniziò a riparare le proprie case noncurante dei frequenti cannoneggiamenti del nemico vicino per ammonirci di un suo possibile ritorno. Fecero grandi sacrifici, continuati dalle generazioni successive per i miglioramenti necessari o per nuove costruzioni, dei patrimoni che oggi per il cambiamento dei tempi ( si dice così ?) non hanno la considerazione dovuta, come vedremo nel capo seguente che conclude questa lunga chiacchierata.
Per i non residenti iI possesso di una casa, gravato da frequenti costi di manutenzione, dalle tasse erariali e comunali e dalle spese fisse dei servizi generali, costituisce un onere enorme. Di conseguenza il suo mantenimento per trascorrervi pochi giorni all’anno è diventato quasi insostenibile; pertanto prende sempre più piede la consuetudine di andare a passare il periodo delle vacanze, anche se breve, nelle località offerte dalle agenzie di viaggio incorrendo spesso, però, in forti delusioni. Per i motivi anzidetti, e in qualche caso anche per disaffezione del luogo di nascita, vengono alienate delle proprietà di considerevole valore a prezzi irrisori. La svendita sbrigativa, non vendita, di fabbricati costruiti in seguito a vite intere di lavoro e sacrifici, addolora gli anziani, i quali sono a conoscenza del loro valore effettivo, siano beni di recente costruzione o ricostruiti a causa degli eventi bellici, un campo in cui cooperarono sebbene giovanissimi.
Il subentro di numerosi forestieri è ormai diffuso nei piccoli comuni montani in cui, con il tempo, prevarranno sui nativi e nel nostro caso c’è il rischio della scomparsa della “borrellanità” .
Pescara, Dicembre 2020
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