Ma Gabriele D’Annunzio è stato veramente a Borrello? di Riccardo D'Auro
Il Medico scrittore Cleto Bordoni, nato nel mantovano da madre borrellana, cedendo all’invito di tanti amici nell’estate del 2000 presenziò alla presentazione del suo bellissimo scritto “I RICORDI DI CLETO”, una interessante raccolta di ricordi delle lunghe e meravigliose estati trascorse a Borrello in casa dei nonni Simonetti fino alla distruzione del paese. Al termine della toccante cerimonia, suscitando la meraviglia dei presenti, disse che Gabriele D’Annunzio era stato a Borrello, aggiungendo soltanto che la fonte dalla quale aveva appreso la sensazionale informazione era molto attendibile anche se era difficile stabilire la data e i particolari del soggiorno.
Qualche tempo dopo spiegò in una sua lettera che a parlargliene era stato suo zio, di parte materna, l’Avvocato Ferdinando De Cinque di Casoli residente a Bologna, dove nel 1945 lui era tornato per riprendere il corso di laurea interrotto a causa della guerra. Le sue visite in casa dello zio divennero più assidue quando da Casoli giunse, per frequentare la Facoltà di Legge, il cugino Antonino Di Giorgio, figlio del Notaio Giulio e di Laura Simonetti sorella di sua madre Carmelita, primogenita del Professore in agraria Tommaso. Questi aveva sposato Maria Rossetti di Casoli, sorella del Dottore in medicina Domenico e di Paolina, moglie del Dottor Tommaso Carusi pure di Borrello. Una terza sorella, Caterina, era la madre di Ferdinando De Cinque.
Un preambolo, questo, necessario per spiegare il rapporto di parentela tra le Famiglie Simonetti, Carusi, Rossetti e De Cinque e per potere motivare la presenza di D’Annunzio e di Ferdinando De Cinque in casa Carusi a Borrello. Ma quando avvenne questo fatto, certamente di grande importanza per la memoria storica, che fa onore al paese?
Io feci presente a Cleto che nei vari testi sulla vita di D’Annunzio non risultava che egli si fosse spinto fino all’alta valle del Sangro, raggiunta dalla strada rotabile solo alla fine degli anni ’80 dell’‘800. Cosa improbabile anche secondo alcuni studiosi abruzzesi. Egli ribadì che il motivo andava ricercato nella passione del Poeta per la caccia, comune agli amici Ferdinando e il suo fratello maggiore Esculapio. Aggiunse che, in merito, qualcosa di più l’avrebbe potuta sapere il nipote di quest’ultimo, il Notaio Senatore Germano De Cinque. Capitò a proposito, però, la recente pubblicazione di un libro dal quale si evince che la conoscenza tra il Poeta e i De Cinque avvenne in occasione della visita fatta a Casoli, insieme a Michetti, dal 7 al 10 ottobre 1894, all’amico Pasquale Masciantonio¹, celebre avvocato e uomo politico. D’Annunzio lo aveva conosciuto a Napoli nel 1891, fresco di laurea, tramite gli amici Eduardo Scarfoglio e Matilde Serao e la loro lunga amicizia si interruppe nel 1912 per la diversità delle posizioni assunte sull’interventismo. Da allora si instaurò uno stretto rapporto tra il Vate e i De Cinque, in particolare con Esculapio, Notaio ed uomo di lettere, e con gli altri notabili del luogo, tra i quali: il citato Dottor Domenico Rossetti e il Medico ricercatore Giuseppe Consalvi. Il ricordo della visita rimase vivo nel cuore del Poeta, che si rammaricò di non aver più potuto tornarvi; nel corso della loro fitta corrispondenza pregava spesso Masciantonio di ricordarlo agli amici.
Cleto scrisse di aver conosciuto anche Don Esculapio, un ottantenne munito di cornetto acustico, che si intratteneva con lui ed altri liceali di Casoli per spiegare e commentare versi di Orazio. Si sofferma, però, molto di più, data la frequentazione particolare, su Don Ferdinando che lui definisce un dannunziano per nascita e per istinto. Lo confermavano il suo studio ricco di cimeli, come pure il resto della casa, che sembravano una copia del Vittoriale. La presenza di un lupo grigio imbalsamato dei nostri monti dimostrava i suoi trascorsi di appassionato cacciatore. Gli raccontava le proprie gesta guerreshe: la fuga da casa, a 16 anni, per andare a combattere nella guerra della Grecia contro i Turchi e la partecipazione alla prima guerra mondiale durante la quale, essendo troppo anziano per militare in un reparto combattente, aveva avuto il compito di arringare i soldati prima dell’assalto. E, tra le tante altre cose gli parlò della stretta amicizia avuta con Gabriele D’Annunzio e del soggiorno avuto con lui a Borrello in casa della zia Paolina Carusi.
Un racconto scarno, ma di grande effetto, che inizia e finisce, purtroppo, con un’unica azione che il protagonista non arricchì dei necessari particolari per poter collocare l’avvenimento nel meraviglioso contesto in cui si svolse.
Quella in cui erano ospitati faceva parte di quel gruppo di case appartenenti alle famiglie più rappresentative del paese antico, concentrate in via Marsica, tra piazza Plebiscito e la Chiesa Madre, site sul lato della rupe dalla quale ciascuna era separata da un giardino “ortolizio”. Dalla loggia in cui si svolse l’azione si dominava quel tratto della valle del Sangro sovrastato dai Monti Pizii e da Monte Pidocchio di Montenerodomo, ricoperto di boschi, di proprietà della famiglia Croce. I primi bagliori dell’alba rischiaravano quel meraviglioso scenario che si offriva alla vista del giovane Ferdinando, rimasto attonito in attesa del sorgere del sole. Non si sa se i due amici avessero programmato di assistere all’aurora, è però probabile perché, improvvisamente, da una delle camere che davano sul terrazzo, irruppe D’Annunzio. Il suo genio poetico coniugò in un attimo lo straordinario spettacolo della natura con l’atteggiamento estasiato del giovane, “biondo, scalzo, e col camicione da notte lungo fino ai piedi” apostrofandolo con un lapidario: “Cristarel delle rocce!”. Un’allusione chiara: si era figurato lo spettatore assorto, in quei panni, davanti a quelle rocce imponenti, come un “piccolo Cristo!”.
Non sappiamo altro di quel soggiorno del Vate nel nostro paese, che per la sua brevità sicuramente rimase sconosciuto ai locali. Su di esso possiamo fare soltanto delle congetture.
La prima, che ritengo sia la più valida, riguarda il tempo in cui si verificò, che non può essere anteriore all’autunno del 1894, né posteriore al 1897, anni ai quali risalgono, rispettivamente, la conoscenza di D’Annunzio coi De Cinque e la sua definitiva partenza dall’Abruzzo. Il viaggio sarebbe stato compiuto in carrozza fino al nostro bivio ed il breve tratto finale, a cavallo, perché il collegamento del paese con la fondovalle avvenne solo nel 1908. Non è, però, del tutto improbabile che la visita sia avvenuta in occasione di qualche suo breve ritorno entro il 1912, magari in compagnia dell’onorevole Masciantonio. Mio padre ha scritto che la prima automobile giunta a Borrello fu proprio quella dell’Onorevole, fautore dell’opera, che riscosse molta curiosità e venne definita la “carrozza senza cavalli”.
Si può, inoltre, ammettere che se visita ci fu i due amici la effettuarono proprio per la passione per la caccia. A questo proposito in un’altra lettera Cleto scrisse che la madre raccontava che D’Annunzio avrebbe regalato a Ferdinando una cagnetta dal nome “più che bella”. Aggiunse, inoltre, che forse a Borrello, lei, allora bambina, lo conobbe perché soleva dire: “D’Annunzio è piccoletto ed anche bruttino, ma quando apriva bocca si trasformava”.
A confermare, in un certo senso, la veridicità di questa storia è stato il suddetto Notaio Germano De Cinque al quale mi sono finalmente rivolto. Egli non ha escluso che alla visita in Borrello abbia partecipato anche suo nonno Esculapio, abituale frequentatore di quelle contrade ricche di selvaggina. Ha inoltre racccontato che suo padre Giorgio gli parlava spesso della cagnetta “più che bella” accanto alla quale era stato fotografato da bambino. Ha ricordato anche che lo zio Ferdinando fu Deputato al Parlamento a cavallo degli anni ’30. E, parlando del nonno, ha ricordato degli stretti vincoli di amicizia che aveva avuto con Gabriele D’Annunzio e con tutto il Cenacolo Michettiano di Francavilla al Mare, nonché con l’On. Pasquale Masciantonio.
Fino alla morte di Cleto, avvenuta impovvisamente nell’autunno del 2003, nella nostra corrispondenza si tornò spesso a parlare di questa “apparizione” del Vate a Borrello, della quale si potè soltanto stabilire il periodo presunto. Egli forse si rammaricò di non aver chiesto chiarimenti, a suo tempo, allo zio Ferdinando, ma, come accade quando si torna con la memoria su certi avvenimenti per gli approfondimenti del caso, spesso non c’è più la possibilità di farlo. Cleto sperava ardentemente di poter presto tornare a Borrello dove avremmo avuto modo di riparlarne a voce. Continuò a scrivere, come aveva fatto negli anni precedenti il suo ritorno, tante lettere, che sono altrettanti racconti della vita del paese che aveva profondamente amato e dal quale era stato allontanato dalla guerra.
Ora che la suddetta testimonianza del Notaio De Cinque, ricca di particolari, conferma e rafforza la possibilità della visita di Gabriele D’Annunzio a Borrello, mi sento in dovere di adempiere alla promessa che feci a Cleto, appena la sua morte, di rendere nota questa storia.
Meglio sarebbe stato se lo avesse fatto Lui: un altro prezioso gioiello da incastonare tra i suoi bellissimi “RICORDI”.
Pescara, Maggio 2009.
1 Ciò risulta dal libro di Enrico Di Carlo “Caro Pascal- carteggio D’Annunzio Masciantonio”- Casoli, Ianieri, 2001.
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