LA CITTA’ MORTA
di Riccardo D'Auro
Il titolo dello scritto induce a credere che si tratti della famosa opera teatrale dannunziana, invece riguarda la città del suo Autore, che oppressa dalla pandemia vive in un clima molto simile alla cessazione della sua vita. In particolare la vecchia Pescara, dov’Egli nacque, aggredita dalla ricostruzione postbellica seguita da un eccezionale incremento edilizio, ma che conserva la sua ben precisa identità.
La chiusura delle scuole, dall’Università agli asili d’infanzia, ha provocato la scomparsa degli studenti, i quali danno una forte vitalità all’intero abitato. Lo si nota anche all’interno di numerosi palazzi dove, con la graduale scomparsa degli originari proprietari numerosi appartamenti, acquistati per essere locati agli studenti, risultano senza vita. La stretta osservanza delle norme di sicurezza rendono difficili, inoltre, l’operosità di molte attività e imponendo, ad altre ancora, il fermo. Contribuiscono all’aggravamento della situazione la riduzione del traffico stradale e l’azzeramento di quello aereo basato quasi essenzialmente sul turismo. Le persone, le donne soprattutto, limitano le loro uscite alla spesa del necessario per la sopravvivenza.
Gli anziani borrellani qui trapiantati trascorrono le lunghe ore dell’isolamento coatto in prevalenza davanti alla TV che trasmette in continuazione, come negli anni di guerra, i bollettini dei decessi che non accennano a diminuire. Allora i bombardamenti avevano come obiettivo le grandi città e i centri strategicamente importanti mentre ora il pericolo del “nemico invisibile” è generale. Essi meditano sui ricordi tramandati dai loro predecessori: le pestilenze frequenti che colpirono anche Borrello. L’epigrafe sull’altare di San Rocco e la stessa statua, un vero capolavoro ligneo, ci ricordano quella del 1862, con i seguenti dati stralciati da Don Giampiero dai registri parrocchiali: 48 morti nel 1860, 94 nel 1861, 79 nel 1862 e 54 nel 1863. Seguì nel 1918 quella ancora più grave: la “Spagnola”, l’epidemia che colpì non soltanto l’Italia, ma anche gli altri Paesi coinvolti nella Guerra Mondiale. La maggiore virulenza, registrata durante gli ultimi mesi del conflitto, raggiunse l’apice della mortalità in autunno: 71 morti a settembre e il totale dell’anno di 220 unità. La popolazione era terrorizzata dal contagio, pertanto il trasporto dei defunti al cimitero veniva eseguito in tutta fretta. Si racconta di un poveretto, che portato in chiesa a tarda sera, fu trovato morto “per davvero” il mattino seguente dietro al portone che evidentemente non era riuscito ad aprire.
Il numero dei decessi provocati dalle gravi pestilenze suddette ci impressiona ed allarma notevolmente considerando l’aggressività della pandemia, che miracolosamente finora non ha fatto vittime in loco.
Chiusa la parentesi dei ricordi si ritorna alla prigionia coatta e alla lotteria delle zone: gialla - arancione e rossa. Si vive nella speranza del vaccino senza trascurare le precauzioni, ovvero il rispetto delle norme di sicurezza. L’esperienza ci dice di non cedere alle richieste di “aperture”. La città vive, comunque, uno stato di apprensione ancora notevole; lo dimostrano le numerose imposte chiuse dei palazzi, forse dovuto al trasferimento di chi ha una seconda casa, meglio di tutte se in campagna, ma purtroppo anche alla fatalità.
Suscitano angoscia le numerose luci spente del condominio accanto al nostro, in modo particolare quelle dell’abitazione dirimpetto. Sono scomparsi, prima il capofamiglia, contagiato dall’ambiente ospedaliero in cui la moglie era ricoverata per altre patologie e, a breve distanza, lei stessa. Si è così chiusa una casa ben viva in cui, specie d’estate, tutti i venerdì sera convenivano le figlie con le rispettive famiglie all’arrosto di pesce che il padre preparava sul terrazzo. Ora su di essa è sceso un silenzio che, specialmente di notte, ci angoscia fortemente e contribuisce al clima surreale che incombe sul quartiere e su tutta la città.
Intanto è passato più di un anno: la primavera trascorre velocemente e ci amareggia la considerazione che, rispetto allo scorso anno, non abbiamo fatto alcun progresso. Aleggia la ventata di ottimismo che portò alla imprudente “apertura” di concessioni che annullarono quanto di buono era stato fatto. La massa spinge e pretende, in nome dell’economia sofferente, che la produzione non ammette pause e che, in poche parole, si deve tornare alla normalità.
Ma noi anziani, reduci di tempi peggiori, non vorremmo assolutamente rivivere il passato. Ce la faremo?
Pescara, 15 Aprile 2021
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