1806, Briganti nei boschi di Borrello
di Angelo Ferrari



Le informazioni di questo articolo relative alla storia di Borrello sono tratte in parte dalle memorie, pubblicate nel 1899, del generale francese Auguste Julien Comte de Bigarré, all’epoca dei fatti colonnello aiutante di campo di Giuseppe Bonaparte re di Napoli.

Durante l’occupazione francese del regno di Napoli nel 1799 i Borboni, e in particolare il cardinale Ruffo, si appoggiarono alle famigerate bande massiste per riconquistare tutte le Province del Regno. Queste bande, che specie in Abruzzo misero in atto feroci atrocità spesso ai danni di cittadini indifesi, ricevettero dal governo restaurato onori e riconoscimenti, anche se in talune occasioni essi vennero imprigionati e uccisi. In ogni caso molti dei delitti di cui costoro si erano macchiati restarono impuniti, come ad esempio l’assassinio ad Altino dei cinque cittadini di Borrello, tra i quali tre sacerdoti, avvenuto il 22 febbraio 1799.
Alcuni anni dopo i Francesi erano tornati con molte e più potenti armate in Italia, sottomettendo tutta la penisola e insediando sul trono di Napoli Giuseppe Bonaparte, fratello dell’imperatore. In questa circostanza ai Borboni non riuscì di organizzare una nuova sollevazione delle masse contadine, in primo luogo perché i capi massa del 1799 erano in parte deceduti e in parte si erano per così dire sistemati nell’esercito regio. Inoltre non si poteva chiedere alla medesima generazione di contadini, quasi inermi, il sacrificio di una nuova e più rischiosa ribellione contro i francesi per tenere in piedi un trono traballante. Bisogna poi aggiungere che l’occupazione francese del 1806 si mostrò assai più determinata della precedente e tutte le forme di brigantaggio o di sollevazione vennero represse in modo energico dal governo di Napoli, ne furono testimoni le terribili carneficine, impiccagioni, tagli di teste e le lunghe condanne comminate in particolare negli Abruzzi dal generale Montigny, governatore di Chieti, e nelle Calabrie dal generale Manés.

Lo storico Marc Monnier ¹ nel 1862 a proposito del brigantaggio nei primi mesi del regno di Giuseppe Bonaparte riporta una pagina di Pietro Colletta che anni addietro scriveva “….. Che a partire dal 1806, ..… le imprese del brigantaggio furono più ristrette. Si sbarcavano pochi uomini (per lo più prelevati dalle carceri borboniche in Sicilia) in una spiaggia deserta, e bene spesso durante la notte: essi si gettavano all’interno delle provincie. Se erano bene avventurati, uccidevano, rubavano, distruggevano case, mèssi, armenti: se erano perseguitati, si imbarcavano di nuovo, e ritraendosi in Sicilia ….. Più ricchi erano di spoglie e di misfatti, meglio venivano rimeritati e con lodi e con danaro. Soldati francesi presi all’improvviso e uccisi, un piccolo corpo di guardia sorpreso, un corriere assassinato, una valigia postale rubata, erano allori quali non ne furon colti ne’ campi di Austerlitz e di Waterloo. Gli atti perdendo così la loro natura, il delitto divenendo fonte d’industria, questa lebbra infestò tutto il reame: i malfattori, gli oziosi, gli uomini avidi dell’altrui proprietà si univano ai briganti, ingrossavano le bande provenienti dalla Sicilia o si formavano in bande da loro medesimi. Tutti avevano per scopo e per trofeo il furto e la carneficina” …..

Sul finire dell’inverno dei primi mesi del 1806, verso la metà di marzo, una banda composta di sbandati, ex detenuti, idealisti e malfattori comuni sbarcò lungo le coste del basso Molise a sostegno della causa borbonica. Erano alcune centinaia di uomini che avevano lo scopo di razziare, incendiare e, se capitava, di combattere i Francesi e qualora ve ne fosse stato bisogno avrebbero potuto rifugiarsi sui monti più all’interno, dato che la bella stagione non era lontana.
La banda innanzi tutto si diresse a sud verso la Puglia dandosi al saccheggio e alle violenze fino al territorio di Lucera, ma l’approssimarsi di truppe francesi consigliò ai briganti, che nel frattempo dopo l’aggregazione di elementi locali avevano raggiunto il numero di circa cinquecento uomini, di ripiegare verso nord. Il gruppo ormai troppo numeroso e perciò facilmente individuabile dovette abbandonare le colline costiere e dirigersi verso l’interno e in pochi giorni raggiunse Larino che dovette subire un violento anche se breve saccheggio.

Il colonnello francese Bigarré comandava un reggimento di stanza a Capua di 1.800 uomini, appena messo in piena efficienza dal maggiore Pégot, che in seguito sarebbe divenuto maresciallo di Francia, e dai capitani D’Ambrosio e D’Aquino, addetti militari napoletani del reggimento, e il 27 maggio 1806 ricevette l’ordine dal maresciallo Jourdan di prelevare 800 uomini del suo reggimento, di recarsi a tappe forzate nel Molise e coordinare gli altri reparti francesi già operanti in zona, con lo scopo di intercettare e distruggere la grossa banda. Bigarré allestì rapidamente una colonna mobile composta da 500 militari del proprio reggimento, 100 uomini del Royal Corse e 200 soldati della Guardia Reale e partì alla volta del comune di Molise. Questo piccolo centro venne scelto come destinazione dal colonnello francese perché qui egli poteva contare su una non numerosa ma fedele guarnigione di Guardie Nazionali e sul sentimento sincero della popolazione favorevole al re Giuseppe.


Il generale francese Auguste Julien Comte de Bigarré
(1775 Belle-Ile-en-Mer / 1838 Renne)

Bigarré appena giunto a Molise, inviò molti uomini in ricognizione accompagnati da volontari locali e ben presto seppe che la banda era appena giunta a Trivento dove la popolazione atterrita sperava in un rapido soccorso. Il giorno seguente, il 30 marzo 1806, anche Bigarré giunse a Trivento, ma solo per apprendere che i briganti, dopo l’ennesimo saccheggio, si erano ritirati ancor più verso l’interno, in direzione delle montagne abruzzesi. D’altra parte per questi malfattori era l’unica mossa possibile per evitare l’accerchiamento da parte dei Francesi che risalivano la costa.
Il colonnello francese inviò nuovamente emissari in giro per raccogliere notizie sugli spostamenti dei fuggitivi e uno di essi, travestito da commerciante di fiammiferi, portò l’informazione che i briganti si erano accampati in un bosco di cerri oltre Agnone e vi avrebbero trascorso la notte. L’indomani mattina essi contavano di raggiungere Civita Borella (Borrello) e da qui scendere al fiume Sangro, oltrepassarlo e seguire la vallata fino alla costa dove, almeno i capi, avrebbero tentato di imbarcarsi.
Al pomeriggio Bigarré entrava in Agnone e dopo una breve sosta ripartì in direzione di Civita Borella per cercare di intercettare la banda. Usciti da Agnone i Francesi marciarono spediti fino al bosco di Borrello e qui il colonnello divise il suo reparto, di 800 uomini, in quattro squadre di 200 uomini ciascuna e le fece addentrare nel bosco precedute da guide locali. Bigarré tenne con se la guida che il giorno prima aveva individuato i briganti presso Civita Borella e ordinò agli altri tre reparti di marciare parallelamente distanziati l’uno dagli altri e di tenersi pronti per intervenire simultaneamente al primo colpo di fucile, suonando la carica in contemporanea. Sopraggiunse la notte, l’esercito regio dovette sostare e la marcia poté essere ripresa solo alle primi luci dell’alba e poco dopo al diradarsi della nebbia, intorno alle sette del mattino, l’avanguardia di una delle colonne impegnate nel bosco, costituita da soldati corsi, si trovò a non più di venti passi dalla retroguardia dei briganti ².
Di fronte alla sorpresa reciproca i dodici militari corsi della piccola avanguardia francese senza pensarci due volte si lanciarono all’attacco con le baionette inastate sui fucili, urlando selvaggiamente. Contemporaneamente gli altri reparti francesi iniziarono a suonare la carica che rimbombando nel bosco pareva provenire da diverse direzioni tra la vegetazione molto fitta e i briganti, confusi, sbandarono lungo sentieri, torrenti e ripidi pendii, dandosi alla fuga disordinatamente e abbandonando anche molte armi. In poche ore furono uccisi nel bosco il comandante della banda e 86 briganti, altri 122 di costoro, feriti, vennero fatti prigionieri, mentre il resto della banda riuscì a raggiungere Borrello, scendere al Sangro e alcuni giorni dopo si imbarcò presso Lanciano con destinazione la Sicilia.
La spedizione di Bigarrè, durata in tutto venticinque giorni, si era conclusa con successo, ma prima di fare ritorno alla sede di Capua, il colonnello fece tagliare la testa al capo dei briganti e di ritorno ad Agnone la fece appendere all’entrata della città per rassicurare gli abitanti che temevano la vendetta dei briganti sulla cittadina.

Queste poche notizie si inseriscono nel quadro più ampio, italiano ed europeo, della autobiografia del generale Bigarrè e purtroppo non è stato fino ad oggi possibile trovarne ulteriori riscontri nei numerosi testi, anche contemporanei, che hanno trattato la questione del brigantaggio nelle province napoletane. Altre fonti sicuramente esistono nei vari archivi regionali e provinciali che potranno in futuro chiarire meglio i fatti del 1806.


1 “Histoire du brigandage dans l'histoire meridionale”, Paris, Michel Levy Frères, 1862.
2 “….. A sept heures du matin, une de mes colonnes, engagée dans le bois, se trouva à moins de vingt pas de la tête de cette bande, qui cheminait pour se render dans la direction de Civita-Borella, où elle comptait passer la riviére de Sangro …..”


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