Bestiario
un racconto di
Cesare Palmieri
(tratto dalla raccolta "Racconti Sangritani")


Sono un soggetto indipendente, autodiretto ed originale; non amo il gruppo, ma preferisco starmene appartata e pensare ai fatti miei. Quando sono costretta, per ovvii motivi di sopravvivenza, a far parte della massa dei pecoroni che vivono sempre intruppati e brucano ficcando la testa sotto il sedere di chi la precede, io preferisco rimanere ai margini del gregge, sempre un po’ più in alto di tutti. Prediligo saltare sui rami degli alberi, per piluccarmi le gemme e le foglioline tenere; cammino sulle macère. in cerca di frutta succosa e di bacche vermiglie; sosto, di preferenza, sui dirupi, per guardare il mondo dall’alto.
Per questa mia indipendenza sono antipatica a molti. I miei nemici sono invidiosi del mio senso di libertà e si aspettano (o si augurano) che, un giorno o l’altro, me la facciano pagare. Che ci posso fare? Per natura son fatta così: forte, agile, volitiva, ribelle, audace e determinata.
Fisicamente, nel mio genere sono una bellezza: due corna anellate e ben arcuate sugli orecchi ed un pizzetto, tipo Mephisto, che mi onora il mento. Non si dice che donna barbuta è sempre piaciuta?
Scusate, è ora che mi presenti: sono Barbette, la capra di Filippo Carafa, detto Scialuort.
Mi aveva acquistato alla fiera di Villa, il 25 marzo, ma il pezzente, non possedendo una stalla, ha dovuto ospitarmi nella sua camera matrimoniale, insieme a sua moglie, finché non è arrivato il caldo. Non vi dico l’odore! Ma il tempo aggiusta tutto e, piano piano, mi ci sono abituata. Il disagio non sta solo in questo: mi tocca assistere agli assalti (veri e propri stupri) che Scialuort porta alla povera Coletta, (per la verità un po’ bruttarella); ma egli ovvia all’inconveniente coprendole prima la faccia con una coperta. Che porco! La notte russa come un maiale e peta in libertà.
Finalmente è arrivato il caldo e, alla sera, dopo la mungitura e una mia leccata furtiva e veloce nel mortaio del sale, o sui muri coperti di salnitro, vengo lasciata libera per tutta la notte, che trascorro sulle scalinate esterne delle case, in compagnia delle altre capre.
E’ il momento più bello: ci scambiamo qualche cornata, tanto per tenerci in allenamento e facciamo un po’ di pettegolezzi sui nostri padroni. Qualche volta si va tutte insieme alla Chies’abballe e ci appostiamo sul muretto dietro la casa di Capoccio: un punto strategico per osservare l’andirivieni degli uomini che vanno a sbrigare santamente i loro bisogni fisiologici; prima sulla sommità di sant’Ierij, poi nell’antro, che si trova sotto l’abside di sant’Egidio. Arrivano di fretta e ripartono lentamente, come pugili suonati, mandando avanti le gambe molli “come mieneche d’ giacchette” (maniche di una giacca portata sulle spalle).
Purtroppo le nostre conversazioni non sempre sono divertenti. Una notte, sulle scale di Fracchione è saltata fuori una sconcertante verità, a conferma dei miei sospetti. Quattro o cinque giorni dopo il mio primo ed unico parto, al mio rientro non ho più trovato il mio caprettino. L’ho cercato dappertutto, ma senza risultato. Che potevo fare? Andare da “Chi l’ha visto?” dal momento che la Sciarelli nascerà fra cinquant’anni? Ho voluto essere ottimista ed ho pensato all’esistenza di una nursey collettiva per i piccoli. Ottimismo frustrato, quando, passando per la rua del macellaio ho visto una piccola pelle tenuta tesa da due cannucce incrociate e stesa al sole ad asciugare: somigliava al vello di mio figlio! Mi sono avvicinata e l’ho annusata: l’odore era il suo! Mi si sono piegate le gambe ed ho visto tutto nero; ma una madre si rifiuta di accettare l’evidenza e vive nella speranza di essersi sbagliata: così mi sono portata dietro quel dolore e quella speranza fino alla notte sulle scale di Fracchione.
Le capre più anziane ci hanno spiegato che, verso la fine di settembre, i nostri padroni vanno dal prete per chiedergli la data esatta della prossima Pasqua (non capisco perché è variabile tutti gli anni!) e, saputala, programmano il nostro incontro col Grande Puzzone, detto anche Zurro o Piéveloceachille, a seconda che ci si riferisca alla sua puzza vomitevole od alla sua imbattibile capacità di eiaculazione precoce: tanto che la femmina non si accorge neanche del suo assalto e seguita a brucare l’erba come se niente fosse successo. Sicché abbiamo appreso che i nostri cari padroncini non solo ci mungono per bersi il latte, o per farne caci gustosi, ma programmano le nostre gravidanze in modo di farci partorire sotto Pasqua, così da allietare la loro tavola con l’arrosto dei nostri capretti. Maledetti! Si può essere tanto crudeli? Per ingozzarsi solo un giorno, o per conservare una stupida tradizione, commettono un gesto così atroce? Hanno sgozzato mio figlio, un capretto così bello e vivace che, solo qualche ora dopo la nascita, già spiccava salti da record olimpico! Dopo quella certezza i rapporti tra me e Filippo Scialuort sono arrivati ai ferri corti. Glie ne combino di tutti i colori pur di danneggiarlo. Sono diventata dammaijosa; appena posso, scantono dai campi da pascolo e vado a brucare, nelle zone proibite, la lupinella fresca, segnalata dai mattuni, i paletti con le stoppie che i proprietari piantano come off-limit; oppure m’inoltro nelle vigne e faccio man bassa dei grappoli succosi, costringendo Scialuort a pagare i danni che io procuro. Una sera, approfittando della disattenzione dei miei padroni, sono salita di corsa nella loro camera e, con una testata (una tuzzolata secca) ho rotto lo specchio del loro armadio. Naturalmente il bruto si vendica, ogni volta, con percosse (taccarate), che mi ammaccano le costole e mi lasciano mezzo tramortita. Ma io non mollo e reitero il mio comportamento appena se ne ripresenti l’occasione; tanto che Scialuort, alla fine, si è arreso e mi ha affidata al pastore comune, che pascola per tutti. Solo alla sera rientro a casa per la mungitura; dopo me ne torno con le compagne sulle solite scalinate, a meditare nuovi dispetti.
Dopo lunga riflessione ho deciso di privare il padrone del mio latte, a cui tiene tanto. Ho fatto ripetute prove ed ho constatato che la cosa non è difficile. Aiutata dal mio collo lungo e ben snodato, ogni sera, prima del rientro, mi accuccio per terra e mi autoalimento, risucchiandomi tutto il latte. Sulle prime, Scialuort se l’è presa col pastore, accusandolo di ladrocinio; ma, dopo i dinieghi fermi e risentiti di quest’ultimo ha deciso di fare appostamenti personali, per svelare il mistero. Non mi sono accorta di nulla ed il villano mi ha colto sul fatto. Non riferisco le botte che ho preso! Infine mi ha trascinata davanti casa e mi ha legata fuori, alla catenella. Dopo un’oretta è tornato tutto trionfante: fra le mani aveva una buatta di conserva di pomodoro da cinque chili, vuota, col logo formato da tre galli ed una didascalia. Con le cesoie l’ha privata del fondo e le ha praticato un taglio longitudinale, per tutta la sua lunghezza. L’ha poi allargata con le mani e me l’ha messa intorno al collo; infine ha preso un filo di ferro e l’ha passato tutt’intorno per tenerla stretta e ben aderente: una vera e propria minerva, che mi tortura e mi impedisce di flettere il collo verso qualsiasi direzione.
Ora potete ammirarmi in mezzo al gregge, col mio collo ‘ndutarato che sovrasta tutti, come un periscopio. Faccio, gratuitamente, la pubblicità per una ditta di conserve di pomodoro:

Calisto Tanzi e figli
Doppio concentrato
Collecchio (Pr.)

Ma che vadano tutti in galera!
Attenti, ché le mie maledizioni sono efficaci fino alla terza generazione! Vi dico, in confidenza che, sotto mentite spoglie, noi capre siamo autentiche streghe!

F I N E

Nota d’A: un ringraziamento all’amico Franco Tiberio per la sua preziosa consulenza sulle abitudini caprine


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