… T’ARCUORD DE … di Riccardo D'Auro
L’anziano è portato a ricordare il “tempo che fu” , soprattutto quello della fanciullezza, e quando può torna volentieri nei luoghi dove nacque. Ma per molti borrellani nati nel paese antico le loro case, distrutte dalle mine tedesche nell’autunno del 1943, sono rimaste impresse indelebilmente nella mente. I ruderi sono oggi ricoperti da ampie distese di verde, che dopo tanti decenni costituiscono un vero e proprio Parco della Rimembranza. Gli “Amici della Piazza Vecchia” , come si sono autodefiniti un gruppo di affezionati, tra i quali il sottoscritto, frequentano abitualmente quei luoghi, dove d’estate si intrattengono in interminabili conversazioni notturne, che immancabilmente si concludono con la rassegna dei ricordi. Tanti: dalle persone autorevoli, appartenenti a famiglie che segnarono la storia del paese, a quelle semplici; tutti indistintamente godevano il rispetto di noi ragazzi. Infine, la rassegna dei posti, delle numerose botteghe in cui fervevano varie attività, alcune appartenute ad esercenti da noi sconosciuti.
La scomparsa di questo “mondo antico” , che in un certo qual modo faceva eccellere Borrello nella zona, mi ha stimolato a scrivere queste riflessioni perché, almeno sulla carta, ne resti il ricordo. Non riguardano solo le persone e le attività del vecchio paese, ma l’intera comunità, a partire dal 1700. Le fonti originarie consultate sono i Registri parrocchiali, che risalgono agli albori del suddetto secolo, e le notizie illustrate nelle recenti pubblicazioni.
Ebbene, cominciamo col ricordo dei professionisti una classe nella quale è doveroso comprendere i numerosi Religiosi che attesero alle tre Chiese intitolate, nell’ordine, ai Santi: Egidio (la parrocchiale), Lucia ed Antonio. Eugenio Maranzano aggiunge ad esse Sant’Onofrio nel suo prestigioso libro in cui enumera anche, coi rispettivi nomi, ben venti sacerdoti locali: undici del 1700, cinque del 1800 e quattro fino agli anni ’30 del 1900; altri tre svolsero i propri ministeri altrove. E, a proposito dell’eccidio di Altino avvenuto nel febbraio del 1799, egli ha scritto che tra le cinque vittime vi era il Dottor fisico Don Alessandro D’Auro.
Il predetto dovrebbe essere il primo laureato di Borrello di cui si ha notizia. Un secondo, il Notaio Francesco Antonio Carusi, è venuto fuori dagli approfondimenti della vicenda fatti dal sottoscritto. Inoltre, dalle ricerche eseguite sulla mia famiglia, risultano: nel 1700 lo speziale Domenico D’Auro e nei primi anni del 1800 i farmacisti Domenico e suo figlio Alessandro Michelangelo.
E’ accertato, quindi, che una buona presenza di uomini di cultura esisteva già negli anni del dominio feudale esercitato da vari Baroni, che si passarono tra di loro dei beni sontuosi, tra cui la cartiera ed altri annessi sul fiume,
Nel secolo XIX, inoltre, si incontrano molti altri professionisti ragguardevoli, appartenenti alle famiglie: Di Nardo, Beviglia, Carusi, Grilli, Spagnuolo, Palmieri, D’Auro, Di Nillo, Simonetti, Di Fiore, che si imposero in loco e fuori. Medici, Avvocati, Notai, Insegnanti, Dirigenti della pubblica amministrazione, Tecnici, ecc. Al folto elenco vanno aggiunti due Pastori di anime, appartenenti a Chiese diverse, che hanno dato onore e lustro a Borrello: Padre Filippo da Borrello, Cappuccino integerrimo, pervaso da profonda fede e predicatore instancabile, ed il Dottor Guglielmo Del Pesco, Pastore protestante, teologo eminente, eletto alla carica di Moderatore della Tavola Valdese. Debbo qui aggiungere a proposito del Sacerdote Don Orlando Spagnuolo, compreso nell’elenco avanti citato, che egli fu un valente insegnante di lettere classiche in vari Licei del Regno.
E qui mi fermo perché i laureati ed i professionisti col tempo saranno sempre più numerosi, mentre varie attività: piccole industrie, mestieri, agricoltura specializzata, ecc., sono andate sempre più scomparendo. Qui di seguito ci occuperemo di esse.
L’attività predominante a Borrello, data la sua conformazione geografica, è stata sempre l’agricoltura, una parte della quale, in passato, era orientata alla coltivazione della vite, la cui produzione soddisfaceva, in parte, anche il consumo dei comuni limitrofi. Lungo il fiume (Sangro n.d.r.) , da San Martino alle Scosse, in tutte le contrade e fino all’arrivo della fillossera, la vigna predominava sulle altre colture. Altri agricoltori commerciavano anche con i prodotti orticoli, le cipolle in prevalenza.
Sulla sponda del fiume predetta i Baroni costruirono una cartiera, divenuta poi gualchiera, ed un mulino. Più a monte, per la presenza di una ricca sorgente di acqua, dalla quale prende nome la contrada (Serienze n.d.r.), svolse una lunga attività anche una fornace per la produzione della calce e dei laterizi. Un attraversamento in loco del fiume, il Ponte vecchio, nome che identifica la località, assicurava gli scambi commerciali con i paesi vicini. Restando nel tema, un altro mulino ad acqua era in esercizio sulla sponda destra del Verde, sito a brevissima distanza della prima cascata. Di esso si servivano anche Rosello e Pescopennataro. Queste attività, mosse dall’energia idraulica, favorirono l’insediamento in paese di alcune famiglie forestiere di esperti, tra le quali i Beviglia e i Palumbo.
La tradizione molitoria continuò con l’arrivo, verso la fine degli anni ’20, dell’energia elettrica distribuita dalla Società Elettrica Borrellana, che costruì sul Colle della Fonte due fabbricati di due piani. Il primo destinato a mulino dotato di cilindro, novità assoluta nella zona, e un altro, sito a breve distanza, destinato parte ad impianto di produzione di inerti e il resto adibito a rimessa di una trebbiatrice, che disimpegnava la maggior parte della trebbiatura locale. Una seconda trebbiatrice, azionata da una trattrice a scoppio, condivise, dalla fine degli anni ’30, la campagna del grano. La corrente elettrica era prodotta da due piccole centrali site in riva sinistra del Sangro, a Quadri e in prossimità dello scalo ferroviario di Civitaluparella. Una quota parte di quest’ultima apparteneva alla Famiglia di Raffaele Palmieri, che non venne ricostruita nel dopo guerra perché la concessione era condizionata alla realizzazione delle grandi derivazioni degli impianti idroelettrici avvenute tra gli anni ’50 e ‘60.
Nel passato esistette anche una piccola Tipografia, di proprietà di Alessandro Di Nardo, unica presente nella zona, nota anche per la pubblicazione di qualche libro. Venne chiusa per il trasferimento del titolare a Villa Santa Maria.
Si deve ricordare, soprattutto per la realizzazione di numerose strade in zona e fuori, l’”Impresa Domenico Spagnuolo e Genero Mario D’Auro”, il nonno ed il padre di chi scrive. Il primo, un maestro muratore intraprendente, iniziò con gli appalti di modesti lavori pubblici all’inizio del secondo decennio del 1900. In precedenza, oltre a lavori di edilizia privata, aveva esercitato le attività di trasporto passeggeri e postale tra le stazioni di Castel di Sangro e Torino di Sangro, unitamente a quella di albergatore. L’Impresa, quantunque penalizzata dalla perdita delle attrezzature, operò subito nella ricostruzione di Borrello e di altri comuni, svolgendo in seguito l’attività edile e stradale fino alla metà degli anni ’60. Altre due imprese edili erano sorte a Borrello: Antonino Di Iorio e Figli, e Giuseppe Palmieri e Umberto Marfisi, quest’ultima nel dopoguerra.
A Borrello trovò spazio anche un affermato studio fotografico ad opera di Domenico Di Fiore, molto attivo durante gli anni dell’emigrazione, anche per la frequentazione di numerosi forestieri. Già emigrato egli stesso, aveva appreso quell’arte in Argentina dove la continuarono due dei suoi figli ivi rimasti.
In via Marsica, fino agli anni ’30, rimase in attività il Trappeto oleario di Pietro Fantini, il quale, negli altri mesi dell’anno, esercitava il mestiere di valente lattoniere- stagnino. Si ricorda a proposito che la coltivazione dell’ulivo era diffusa nelle contrade Pareti, Valli, Coste Fosche e San Martino.
Restando nel tema alimentare c’è da citare la breve esistenza, in viale Argentina, di un pastificio fondato negli anni ’20 da Lorenzo Annecchini, ex emigrato.
In paese è stata importante, nel tempo, l’apicoltura, che ha imposto all’attenzione del mercato il proprio miele. Gaetano Di Fiore, e in seguito il figlio Elia, fu l’antesignano di questo tipo di industria agricola, imitato dal già citato Raffaele Palmieri con i figli Costantino e Lionello; da Leonardo Evangelista e, infine, da Antonio Annecchini. Oggi operano in questo settore gli eredi degli ultimi tre e un giovane appassionato.
Un’attività che a Borrello non ebbe assolutamente fortuna fu l’autotrasporto merci tentata, alla fine degli anni ’30, da Giovannino Beviglia, che lavorava nel Nord Italia. I tempi, a causa dell’incombere della guerra, non favorirono lui ed il suo camion, che noi ragazzi chiamavamo Rin Dò per il suo caratteristico rumore. Nel 1944, appena conclusa la liberazione totale del nostro territorio, egli tornò su questa attività, e sfruttando il suo ingegno e le capacità di esperto meccanico, costruì egli stesso un autocarro, assemblando parti meccaniche provenienti anche da mezzi abbandonati dai tedeschi. Ne sortì un autocarro strano, “rivestito” da cabina e cassone di legno, che circolò per qualche anno, suscitando la meraviglia degli esperti, dando un contributo fattivo alla ricostruzione.
Contemporaneamente due giovani, Remo Spagnuolo e Nicola D’Amico, tentarono inutilmente di entrare nel settore con mezzi usati, che li fecero dannare per le difficoltà di reperire i pezzi di ricambio.
Alla fine degli anni ’40 il capomastro muratore Michele Spagnuolo aprì, in un locale di via Roma appositamente costruito, una sala cinematografica attrezzata di proiettore a passo ridotto che ebbe molto successo. Insieme alla moglie, d’estate, in occasione di feste patronali, allietava anche le serate di altri paesi. Le comunità ritornavano a vivere dopo anni di sofferenze e vicissitudini di ogni genere, si sentiva, pertanto, il bisogno di qualche sano svago. Il cinema, così come altrove, dovette cedere all’affermarsi della televisione.
Nel corso degli anni ’70, e a seguire, cominciò il declino di molte attività imprenditoriali, commerciali ed artigianali che contraddistinguevano Borrello dagli altri paesi dei dintorni.
Tra di esse vanno citate la Distilleria di liquori Antonio Evangelista in attività dal 1907, che si trasferì a Pescara ed in seguito a San Giovanni Teatino.
Il Consorzio Esattoriale riguardante ben dieci comuni, con capofila Borrello, nato dalla vecchia esattoria gestita da Vincenzo Palmieri e continuata dal figlio Amelio.
La Pasticceria di Gino Lalli, aperta alla fine degli anni ’60 in uno col negozio di alimentari, che si era affermata a livello locale e nei dintorni.
Nel decennio successivo un importante allevamento di conigli, sorto qualche tempo prima, gestito da una Cooperativa di giovani.
Infine, è cessato di esistere il notevole e qualificato patrimonio di operosità alquanto invidiato dai comuni vicini: il piccolo albergo-trattoria, la locanda, i forni, i sarti, i calzolai, il barbiere, i falegnami, nonché la numerosa classe dei muratori. Con grande rammarico di tutti si sono chiuse le loro botteghe, che, specie d’inverno, furono anche luoghi di aggregazione.
Voglio qui, con piacere, ricordare due validi artigiani che furono molto amici di noi giovani durante il periodo della loro massima espressione operativa.
Antonio Palmieri, “il barbiere”. Un uomo minuto di grande vitalità, sempre in movimento, che con la sua valigetta sbrigava anche il servizio a domicilio, servendo anche il gentil sesso per le permanenti. La sua bottega, pur non essendo grande, era un piccolo emporio: dai giornali, alla brillantina, agli articoli del necessaire, alle pellicole fotografiche, agli occhiali che facevano esclamare alle vecchiette di “aver ritrovato la vista” e finanche i giuochetti pirotecnici. Questi lo fecero entrare in polemica con un sindaco che voleva imporgli la licenza per “gli infiammabili”. Il sindaco non la spuntò e noi giovani, accolti sempre con calore, celiammo a lungo sull’assurda pretesa che finì per diventare un’esclamazione di saluto quando entravamo nel locale.
Fino al dopoguerra Antonio giocò a calcio nella squadra locale facendo dannare, col suo continuo movimento, le difese avversarie. Di tutte le partite annotava risultati e formazioni scrivendo anche qualche riga di cronaca. Ha suscitato meraviglia la partita della ripresa, disputata nell’estate 1944, che può definirsi “tra le macerie”. Da pensionato raggiungeva spesso in corriera i clienti di altri paesi, che avevano frequentato assiduamente la sua bottega.
Ciro Palmieri, “Cirotto”, ultimo calzolaio del paese, che, già anziano, abbandonò il banchetto per motivi di salute. Artigiano della scarpa per lunga tradizione di famiglia, le aveva fabbricate, insieme ai fratelli, fino agli anni ’50 quando la produzione industriale ebbe il sopravvento. Scapolo impenitente, sempre a suo agio tra i giovani, alcuni dei quali si trovarono presenti quando il suo cuore cessò improvvisamente di battere.
La sua giornata di lavoro si concludeva alle sei e dalla casa paterna di Borgo Fontana, in cui viveva con la vecchia madre, raggiungeva il centro dopo essere passato a comprare le sigarette e dal barbiere. Spesso faceva una passeggiata con gli amici o si fermava al bar dove tornava dopo cena per la partita. Una vita metodica continuata anche quando andò ad abitare nella nuova casa di via Roma. Sua fedele compagna era stata sempre la radio; diceva che la televisione lo avrebbe costretto a restare a casa. Una distrazione periodica, che compiva di sabato, era il viaggio a Lanciano da dove la sera tornava con un rotolo di cuoio e dell’altro materiale da lavoro. La sua bottega era frequentata anche da molti forestieri, donne, soprattutto, che giungevano in compagnia e alle quali l’anziana madre aveva ammiccato vanamente sperando che Ciro si convincesse a prendere moglie.
La causa della scomparsa delle numerose fonti di lavoro e di benessere descritte va riscontrata nel cambiamento dei tempi, nella progressiva diminuzione della popolazione e nella mancanza di coraggio di molti giovani nel continuare l’attività di famiglia, attratti soprattutto dal miraggio di molte industrie nate nella zona. Ma la situazione potrebbe anche mutare con il progredire della globalizzazione; quale potrebbe essere la reazione dei giovani di fronte ad un eventuale fenomeno di regressione? La vita è fatta di corsi e ricorsi, pertanto bisogna considerare una tale evenienza.
Sono convinto, nel caso malaugurato, che ci sarebbe una reazione positiva come quella indimenticabile che vi fu di fronte alla distruzione totale del paese. La comunità reagì alla terribile sventura con grande determinazione e con tenacia, virtù che in pochi anni portarono alla rinascita.
Pescara, gennaio 2010
P. S.
Ho accolto di buon grado il suggerimento di un amico di aggiungere al ricordo di Ciro qualche cosa sulla sua frequentazione del Dopolavoro. L’OND (Opera Nazionale Dopolavoro), di istituzione fascista, era l’unico circolo di trattenimento allora ammesso a Borrello, oltre alle cantine in cui avveniva la mescita del vino.
Occupava la grande sala sita al terzo piano del palazzo municipale, mentre nel resto della superficie del piano, oltre all’atrio, vi era un vano destinato a sede del Fascio dove i Segretari, maschile e femminile, si riunivano col Direttorio. In fondo al salone, ammobiliato con sedie e tavoli, c’era il palcoscenico su cui spesso recitavano gli alunni delle scuole e alcuni giovani appassionati di teatro, mentre d’inverno si esibivano piccole compagnie di girovaghi, in genere napoletane, con drammi strappalacrime addolciti alla fine con esilaranti farse popolari.
I soci del dopolavoro trascorrevano il loro tempo libero giuocando interminabili partite a carte senza il conforto di un bicchiere di vino o di altre bevande. Soltanto acqua attinta al fontanile pubblico dall’addetto alle pulizie con un recipiente di rame, provvisto di rubinetto, che faceva bella mostra all’ingresso in una nicchia ricavata dalla feritoia che inquadrava il ponte levatoio con cui si accedeva all’antica residenza baronale.
Quando il dopolavoro venne dotato di un apparecchio radio, donato dal Regime a scopo propagandistico, Ciro, uno dei soci più giovani, ricevette l’incarico di gestirlo. La ricerca dei programmi era un’operazione non facile per le scariche che si sovrapponevano alle trasmissioni. L’apparecchio era dotato di un potente altoparlante esterno posto sul lato di piazza Risorgimento, che veniva attivato soprattutto in occasione dei discorsi del Duce. Durante il conflitto molti soci salivano la sera su per ascoltare, in piedi e a capo scoperto, il bollettino di guerra; il pomeriggio della domenica i giovani affollavano la sala per seguire la radiocronaca di una partita di calcio. Ciro, tifoso dell’Internazionale, si accompagnava a loro venendo spesso sopraffatto dagli schiamazzi degli avversari. Una sera in cui fu costretto a lasciare in anticipo la sala alcuni di essi gli combinarono uno scherzo pesante: gli fecero trovare, il giorno successivo, la radio capovolta.
Questa mansione giovanile spiega la forte passione di Ciro per la radio che gli fu compagna assidua per tutto il resto della vita.
Raffaello (D'Auro n.d.r.) ha raccontato di recente che quella radio era stata donata dal Partito alle Massaie Rurali “…in segno di gratitudine…” per aver dato alla Patria, oltre alle fedi, la lana dei letti per confezionare indumenti per i combattenti. Per questo motivo l’intromettente ragazzo l’aveva soprannominata “toppa di lana”.
Ottobre 2010
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